DOLCI FIORE, il carteggio tra il Professore e l'Architetto
- Categoria: Blog
il Professore e l'Architetto
di Goffredo Fofi
Nel giugno di cento anni fa nasceva Danilo Dolci, morto a Trappeto (Palermo) nel 1997. Molte le manifestazioni, in particolare siciliane, che lo ricordano, e anche qualche pubblicazione, la più insolita delle quali è il carteggio tra Dolci e un meridionalista di grande valore come Tommaso Fiore. Tra Sicilia e Puglie.
Un pezzo di Novecento nelle parole di due sognatori
- Categoria: Blog
Il Carteggio tra Fiore e Dolci, un pezzo di Novecento nelle parole di due sognatori
di 𝐌𝐚𝐮𝐫𝐨 𝐌𝐚𝐬𝐬𝐚𝐫𝐢
Nel libro curato da Giuseppe Dambrosio è raccolto lo scambio di lettere tra i due intellettuali che dal 1953 e il 1970 condivisero una battaglia contro le disuguaglianze nel Meridione. L’opera offre uno spaccato su difficoltà e speranze di un’Italia in bilico.In un'epoca in cui i contatti umani si sono ormai ridotti a messaggi istantanei e e-mail, ci appare sempre più raro imbattersi in un carteggio che duri anni, capace di intrecciare vita, battaglie civili e riflessioni intime. È il caso del lungo scambio epistolare tra Tommaso Fiore, intellettuale meridionalista, e Danilo Dolci, attivista e precursore della non violenza in Italia. Tra il 1953 e il 1970, le lettere che si sono scambiati questi due uomini, impegnati nel cambiamento delle condizioni degli ultimi e dei deboli, raccontano non solo una storia di lotta sociale, ma anche di un'amicizia che ha attraversato momenti cruciali della storia del nostro paese.
L’ Europa di Ventotene non è mai esistita, i comunisti respinsero a lungo il manifesto
- Categoria: Blog
Redatto nella primavera del ’41, era contro la guerra e la sovranità nazionale, quindi contro Stalin
di Giovanni De Luna
A Ventotene durante il fascismo c’erano 800 confinati e 350 sorveglianti. Nella piccola isola le differenze ideologiche tra i reclusi venivano amplificate dalla dimensione claustrofobica in cui erano immersi: i comunisti non andavano d’accordo con quelli di Giustizia e libertà, gli anarchici mal sopportavano i socialisti e tutti guardavano con diffidenza i “manciuriani”, quelli che erano finiti al confino per motivitutt’altro che politici, schiacciati dal peso dei loro reati comuni. L’ortodossia, la fedeltà alla linea veniva interpretata non solo come una ferrea regola ideologica ma anche come una norma in grado di ispirare e controllare i comportamenti della vita quotidiana. Il risultato era l’esasperazione delle tensioni, l’esplodere delle contraddizioni in maniera molto più vistosa di quanto accadesse in libertà. Ma non fu per questi motivi esistenziali che i comunisti non gradirono affatto il Manifesto “per un’Europa libera e unita” elaborato, proprio a Ventotene, nella primavera del 1941, da un gruppo di giellisti e di socialisti raccolti intorno ad Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi ed altri. E non si trattava solo del fastidio per il velleitarismo di un piccolo nucleo di intellettuali che, su uno scoglio sperduto nel mar Tirreno, si permettevano di pensare in grande ipotizzando, addirittura, una “federazione europea”, proprio nel momento in cui le armate di Hitler e Mussolini sembravano dilagare vittoriosamente in tutto il continente. No: in quel documento c’erano una serie di punti particolarmente indigesti per quanti credevano in maniera cieca e assoluta nel mito di Stalin.
Da Scotellaro a Verga
- Categoria: Tommaso Fiore
PROBLEMI DI VITA E DI ARTE
Da Scotellaro a Verga
di Tommaso Fiore
A giudizio di Cario Levi, la nota «lettera al figlio» della madre di Scotellaro è un'alta espressione artistica di cultura contadina. Non c'è poi chi non avverta, nel compianto materno per la morte dei giovine poeta, la freschezza lirica del canto raggiunta in quelle parole: «Ricorderò sempre i giorni della settimana. Il lunedì dico: tanti giorni oggi mio figlio era a Portici. Martedì era vivo, cantava, rideva. Guardo l'orologio: Alle otto e mezza morì. Mercoledì ricordo: venne in casa nella bara morto, il giovedì andammo al cimitero a seppellirlo. Il venerdì ricordo: tanti giorni fa, mio figlio era a cena in casa mia con il dottor Rossi Doria e i compagni per l'ultima cena che fece in casa. Il sabato - ricordo - partì per Napoli. La domenica era sulla terrazza del dottor Rossi Doria, che gli fece l'ultima fotografia che a guardarla mi sento morire, come stava con le mani incrociate tra le gambe; poteva dire: sarà l'ultima volta che sto in questa terrazza. E poteva dire: mi sento male, mi vedo senza mia madre. E così di seguito, finisce una settimana e comincia l'altra; e sempre con le stesse cose. Pazza posso andare ma non posso fargli niente: solo versare lacrime, che divento cieca. E dico: ecco dove sono andati a finire i miei sacrifizi, quelli del padre, e tanto suo lavoro: sono tutti sotterrati in un fosso, e non lo vedrò mai più, («Contadini ni del Sud», Laterza, 1954).
L'elenco degli Internati Militari Altamurani
- Categoria: Blog
Internati militari Italiani, la Resistenza senz’armi
a cura di Giuseppe Dambrosio
In occasione della giornata della memoria, a 80 anni dalla liberazione di Auschwitz, è doveroso ricordare centinaia di altamurani che finirono nei lager o prestarono la loro opera in fabbriche o in attività agricole ricevendo una paga da fame. Alcuni morirono di stenti, di fame, di malattia, altri resistettero a tutte le angherie e ai maltrattamenti. Dietro ogni nome c’è una storia che non può essere dimenticata. Di seguito l’elenco pressochè esaustivo frutto di un lungo lavoro di ricerca.
Lo status degli Italienische Militär-Internierte (IMI) fu creato da Hitler e fu accettato passivamente dalla repubblica sociale italiana (Rsi). Gli oltre 600mila militari deportati nei lager nazisti che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 rifiutano di continuare a combattere con la Germania nazista o aderire alla Repubblica sociale italiana, «preferendo la dura vita di prigionia a quella del disonore».
Per troppo tempo, infatti, non è stato adeguatamente compreso il peso nella storia più generale della guerra di Liberazione. Dal 2008 la loro scelta è vista come «l’altra Resistenza», «la Resistenza senz’armi».
Le cifre disponibili ci dicono che all’indomani dell’armistizio i tedeschi disarmano in poco tempo circa un milione (1.007.000) di militari italiani. Di questi circa 197.000 scampano alla deportazione perché si danno alla fuga, mentre i rimanenti 810.000 circa (59.000 catturati in Francia, 321.000 in Italia e 430.000 nei Balcani) vengono messi di fronte alla scelta tra adesione e prigionia nei lager in Germania e nei territori occupati (Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Francia, Ucraina e Bielorussia). Alcune migliaia perdono la vita nel trasferimento presso i campi di concentramento. Altre decine di migliaia vengono catturati all’estero, dopo essere entrati in clandestinità (spesso dando una mano ai gruppi del luogo che organizzavano la resistenza ai nazisti) e costretti a prestare lavoro coatto in Jugoslavia, Albania, Grecia, Bulgaria, Ungheria e Romania dove trascorrono la loro prigionia sotto il controllo tedesco o dei propri alleati locali.
Entro la primavera del 1944 circa 197.000 uomini si dichiarano fedeli alla Rsi (repubblica sociale italiana) o ai tedeschi sul campo o quando arrivano nei lager.
Fino all’estate del 1944 i circa 350 lager dove sono rinchiusi ufficiali, sottoufficiali e soldati destinati al lavoro coatto dipendono dalla Wermacht, in seguito, dopo l’attentato ad Hitler del 20 luglio dello stesso anno, la gestione passa in mano alle SS, molto più feroci e crudeli. L’arrivo prevede il passaggio in 25 campi di smistamento Durkhgangslager (Dulag). Da qui i sottoufficiali e uomini di truppa vengono internati negli Stammlager (Stalag) da cui dipendono 2.000 distaccamenti secondari detti Arbeitskommando (AK) dove si veniva avviati al lavoro coatto. I circa 30.000 ufficiali vengono concentrati in blocchi separati degli Stalag e in una ventina di Offizierslager (Oflag). Durante la prigionia, inoltre, diversi IMI per diversi motivi finiscono anche nei campi di punizione (Straflager) che spesso dipendono dai campi di eliminazione.
In totale, quindi, un numero compreso tra 600 e 650.000 militari (considerando anche i militari italiani trattenuti nei Balcani) rifiuta di continuare a combattere per il nazismo e il fascismo e resta nei campi di prigionia e di lavoro coatto con la qualifica di IMI, sconosciuta alle convenzioni internazionali. 6000 di loro morirono subito nell'affondamento delle navi che li portavano nei lager. Alla fine della guerra gli IMI deceduti nei lager per fame malattia, sfinimento, bombardamenti, torture, violenze, stragi, eccidi compiuti dai dai tedeschi saranno circa 45 mila.
Il passaggio forzato allo status di lavoratori civili nel settembre 1944 ha solo in parte contribuito a migliorarne le condizioni di vita e lavoro, presto destinate a riaggravarsi nel corso dell’ultimo inverno di guerra, nel graduale sfacelo economico e militare della Germania nazista.
Si includono tra gli IMI anche i militari italiani fatti prigionieri dai sovietici nella seconda guerra mondiale, recenti lavori di ricerca ne hanno ricostuito le vicende.
Diverse centinaia di altamurani finirono nei lager o prestarono la loro opera in fabbriche o in attività agricole ricevendo una paga da fame. Alcuni morirono di stenti, di fame, di malattia, altri resistettero a tutte le angherie e ai maltrattamenti. Dietro ogni nome c’è una storia che è doveroso ricordare.
Nome |
Cognome |
Data di nascita
|
Luogo di nascita |
Tipo di occupazione |
Data di Entrata Cattura |
Data di Uscita Rientro |
Numero di matricola e campo |
Abbrescia |
Nicola |
17.6.1920 |
Altamura |
17.11.45 |
Stam. 58/2 |
||
Adorante |
Vito |
26.26.1923 |
Altamura |
22.7.45 |
159480 XI B |
||
Acquaviva |
Antonio |
1.4. 1910 |
Altamura |
10.9.43 |
Stalag I IV B IV D |
||
Acquaviva |
Giuseppe |
2.5.1921 |
Altamura |
4.10.45 |
66726 Algeri |
Così la subcultura della globalizzazione ha creato la fabbrica dell'ignoranza
- Categoria: Blog
IL COLLASSO DEL SAPERE IN ITALIA E NELL’OCCIDENTE
di Raffaele Simone*
Allora oggi è il 12 dicembre...»: qualche giorno una mia amica milanese ha pronunciato questa frase quasi tra sé e sé, trovandosi nei pressi di un tizio sui 45anni. Vedendo perplesso il suo vicino, ha spiegato discreta: «Piazza Fontana. Oggi è l’anniversario». Quando ha visto che quel tale aveva lo sguardo vuoto tipico di chi non ha idea di che cosa si stia parlando, ha lasciato cadere il discorso. Se avesse ripetuto quelle battute a mo’ di test con altre persone, anche istruite, di certo avrebbe ottenuto per lo più la stessa reazione. Senza saperlo, la mia amica stava convalidando le conclusioni di quella sezione del “Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese” (58esimo della serie) che concerne ciò che gli italiani sanno o non sanno. Il paragrafo che ci interessa si intitola crudamente “La fabbrica degli ignoranti” e rivela cose come le seguenti. Il 55,2 per cento degli intervistati ignora che Mussolini fu destituito e arrestato nel 1943; il 30,3 per cento non ha idea di chi fosse Mazzini; il 30,3 per cento non conosce l’anno dell’Unità d’Italia. Quasi la metà degli intervistati non sa indicare l’anno di inizio della Rivoluzione Francese; il 41,1 per cento crede che l’autore dell’Infinito sia D’Annunzio; il 35,1 non esclude che Eugenio Montale sia stato un presidente del Consiglio; per il 35,9 l’autore dell’Inno di Mameli è Verdi e per il 32,4 la Cappella Sistina potrebbe anche essere opera di Leonardo da Vinci o di Giotto. Inutile poi chiedere informazioni geografiche. Un quarto degli italiani ignorano che Oslo è la capitale della Norvegia e un numero ancora maggiore che Potenza è il capoluogo della Basilicata.
Nell’età della guerra e della politica impotente Francesco è simbolo di decadenza e speranza
- Categoria: Blog
L' ANNO SANTO
di Rino Formica*
Il pontefice, non da oggi, sceglie di enfatizzare e sfruttare la sua fragilità per indicare il declino delle condizioni del mondo “al di qua”. Un messaggio potente anche per i laici. Ci dice che le forze statuali e politiche non sono in grado di fermare la nuova era dei conflitti. Nel tradizionale rito dell’apertura della porta santa della basilica di San Pietro, e con essa l’apertura dell’anno santo, papa Francesco non ha spinto la porta per aprirla, ha bussato. Nello primo Giubileo in tempi di guerra, anzi nel Giubileo che si celebra in quella che ormai possiamo con desolazione definire la nuova età della guerra, quel suo bussare dice qualcosa di peculiare. Per entrare nell’anno santo, non vi è dunque una forza che autonomamente e autorevolmente è in condizioni di aprire la porta.
La bimba venuta dal mare, ma un miracolo non basta a cancellare la vergogna
- Categoria: Blog
La bimba venuta dal mare, ma un miracolo non basta a cancellare la vergogna
di Melania Mazzucco
Di Alan Kurdi, il minuscolo Joseph, la siriana Loujin, le nigeriane Marian e Osato, i bambini morti d’acqua e di sete nel Mediterraneo, ricordiamo ancora il nome (tanti altri, rimasti anonimi, sono meri numeri nell’aritmetica dello scandalo, che somma almeno trentamila morti negli ultimi dieci anni). Le immagini dei loro corpi esanimi (o dei loro funerali) sono diventati il simbolo della nostra vergogna. Il dolore e lo sdegno suscitati dalla loro fine, autentici benché inquinati dall’ipocrisia, sono invece svaniti. Yasmine però è stata salvata dalle acque: come Mosé, si potrebbe dire, per augurarle un destino da guida del suo popolo, da profeta e da legislatrice. Ma il passivo non è la giusta configurazione del verbo. Yasmine si è salvata. Riflessivo. La grammatica ci insegna che c’è differenza. Il soggetto compie un’azione che ritorna su sé stesso. Yasmine non è un corpo, né un numero, né una salma: è un soggetto, e il soggetto di questa storia.