Cesare Battisti
L'EROE. L’Italia lo ha esaltato ma resta incompreso. 

di Stefano Biguzzi

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Grande guerra Cento anni dopo l’impiccagione, l’irredentista trentino rimane controverso.
Pesa il modo in cui se n'appropiò il fascismo, ma anche la complessità di una figura
che seppe coniugare al meglio gli ideali socialisti e patriottici

di STEFANO BIGUZZI

A cento anni dalla morte, Cesare Battisti giace in un polveroso pantheon di grandi italiani ridotti a sopravvivere nel bronzo di qualche monumento, dimenticati da una nazione che preferisce l’oblio a imbarazzanti raffronti. Nato a Trento nel 1875, cresciuto nel culto dell’epopea risorgimentale e nel rimpianto per il destino della sua terra restata sotto il dominio asburgico, Battisti fondò giovanissimo il Partito socialista trentino, divenendone una delle figure più rappresentative. Geografo, editore, giornalista, per vent’anni combatté in difesa degli ultimi, denunciando la depressione economica prodotta dall’amministrazione austriaca e le ingiustizie del suo malgoverno. Questa azione si saldò a una lotta nonviolenta per difendere l’identità italiana del Trentino e conquistare spazi di autonomia all’interno dell’Impero. Deputato a Vienna e a Innsbruck, allo scoppio del primo conflitto mondiale Battisti passò in Italia dove incarnò l’anima democratica, garibaldina e mazziniana, di quell’interventismo che voleva la guerra «per uccidere la guerra». Arruolatosi volontario negli Alpini e catturato in combattimento nel settore del Pasubio, fu condannato a morte per alto tradimento dopo un processo farsa e giustiziato con Fabio Filzi, il 12 luglio 1916, nel Castello del Buonconsiglio.

Questo essenziale ritratto ci restituisce i principali elementi di complessità che hanno concorso a sbiadire la memoria di Battisti: lo scenario geopolitico di una vicenda collocata nella difficile realtà di frontiera delle terre «irredente»; l’innovativa ma problematica sintesi tra i principi democratici e internazionalisti del socialismo e un sentimento di appartenenza nazionale che si trovava ad essere sempre più monopolizzato da forze reazionarie e illiberali; la drammatica scelta di un pacifista che, proprio per essere coerente con i suoi ideali, si batté per far entrare in guerra l’Italia contro il blocco militarista austro-tedesco; le strumentalizzazioni a cui si offrivano la carica simbolica di quel supplizio affrontato da ultimo eroe del Risorgimento e i connotati mitici subito assunti dalla figura del martire.

A tali elementi se ne aggiungono poi altri, forse ancora più determinanti: il peso dell’ipoteca che il fascismo avrebbe posto sulla memoria di Battisti, sfruttandolo come icona nazional-imperialista; l’uso della sua figura che si è fatto nelle contese sullo status delle popolazioni tedesche presenti all’interno del confine geografico conquistato nel 1918; l’antitesi tra patria, democrazia e antifascismo che, affermatasi nel secondo dopoguerra, è assurta poi al rango di inconfutabile postulato come reazione allo sciovinismo fascista, ma anche come conseguenza dell’egemonia esercitata da due forze, cattolici e comunisti, storicamente ostili all’idea di nazione.

L’intreccio di questi fattori ha reso Battisti un personaggio scomodo da ricordare, rimasto fatalmente imprigionato nelle semplificazioni e nelle distorsioni del mito e dell’anti-mito o negli schematismi dottrinari di quanti, con improbabili acrobazie, volevano mettere in ombra il socialista esaltando il patriota o compiere il procedimento inverso; un personaggio al quale, dimenticando che la loro età dell’oro è oggi e non certo al tempo degli Asburgo, molti trentini guardano con disagio, dandogli magari del traditore e associandolo ingiustamente a un sessantennio buio terminato con la nascita della provincia autonoma dopo due guerre mondiali, vent’anni di dittatura e un lungo periodo di difficile convivenza con la minoranza tedesca; ma anche, al di là di letture politiche e memorie particolaristiche, un personaggio che paradossalmente rischia di creare turbamento e imbarazzo per il solo fatto di simboleggiare un’epoca di lotte nazionali tanto lontana dal sentire di quell’Europa libera e affratellata che rappresenta proprio la realizzazione degli ideali testimoniati fino al sacrificio supremo dal tribuno socialista martire dell’irredentismo trentino.

Se però si resiste alle scorciatoie tentatrici del mito o dell’oblio e, invece di arrendersi a questa complessità, si cerca di far emergere il grande potenziale che in essa è racchiuso, appare evidente come il pensiero e l’azione di Battisti meritino di continuare a vivere, in primo luogo perché con il loro riaffermare l’imprescindibile nesso tra nazione e popolo, recando l’universalità del messaggio mazziniano oltre le soglie del Novecento, rappresentano uno straordinario punto di riferimento per fissare la prospettiva democratica in cui deve collocarsi il sentimento di appartenenza a una comunità nazionale. Ma ricordare Battisti significa anche recare uno spiraglio di luce nelle tenebre apocalittiche del primo conflitto mondiale, trovare un senso, per quanto possibile, all’olocausto di una generazione svanita nell’inferno delle trincee, inserire la Grande guerra in un contesto «progressivo» recuperandone le motivazioni idealmente più alte e sottraendola allo stereotipo che ne trasmette la memoria solo ed esclusivamente come «inutile strage», esplosione di una non meglio identificata follia autodistruttiva, mostruosa nutrice di totalitarismi.

Tutto questo senza dimenticare che Battisti è anche una figura tragica e che nella scelta di non mettersi in salvo, come avrebbe potuto, e di lasciarsi catturare, seguendo la via del martirio, c’è sì la determinazione di sacrificarsi per svelare il vero volto dell’Austria felix, ma c’è anche l’ultimo gesto eroicamente e disperatamente catartico di chi aveva compreso che troppo grande era il prezzo di sangue richiesto al popolo da quella guerra. A rivedere oggi la sequenza di foto, unica nella storia, con cui si è morbosamente seguito Battisti dalla cattura al patibolo, sembrano passati non cento ma mille anni. Le stesse immagini tuttavia ci appaiono anche straordinariamente attuali, se non addirittura senza tempo, perché la ieratica dignità di quell’uomo che va alla morte è l’incarnazione di tutti quelli che ancor oggi, nel mondo, sacrificano la vita per affermare giustizia e libertà denunciando la cieca ferocia di chi crede di soffocare con la violenza la loro voce; la stessa cieca ferocia di quell’Austria che un secolo fa, come osservò Karl Kraus con amara ironia, impiccando Battisti aveva finito, senza accorgersene, per impiccare sé stessa.

La Lettura,12.05.2016