L'eredità del 1799 ad Altamura
di Giuseppe Dambrosio
Michele Cammarano, Le Stragi di Altamura
Esattamente 220 anni fa si concludeva tragicamente nella nostra città, tra il 9 e il 10 maggio del 1799, l’esaltante esperienza rivoluzionaria di segno repubblicano che interessò, con la stessa intensità, pochi altri centri del Regno di Napoli. Altamura, nei 100 giorni di autogoverno, non ebbe esitazione a far propri gli ideali della Rivoluzione Francese (libertà, fraternità ed uguaglianza) e a sperimentare nuove forme di partecipazione e organizzazione politica.
Lo schieramento composito dei protagonisti (nobili, clero, intellettuali, borghesi, lavoratori, portatori di interessi diversi e contrapposti) trovò un momento di unità nel difendere la cosa più cara che li accomunava: l’indipendenza economica e politica della “propria” città. I conflitti che si trascinavano da tempo per il controllo dell’amministrazione della “università” (comune) tra vecchi e nuovi nobili e tra nobili e “civili” segnarono il passo di fronte al progetto politico controrivoluzionario del Cardinale Ruffo, che intendeva dare una lezione esemplare agli altamurani, che avevano osato, in modo così ostinato, abbattere la monarchia.
E’ necessario ricordare di che cosa fu capace il Cardinale Rosso con le sue truppe attingendo alle cronache del tempo: «Bruciata la porta di Matera entrarono come cani arrabbiati. La truppa ascendeva a ventimila persone ed era truppa regia. Niuno lo sapeva ed allora soltanto si seppe che era truppa regia. Entrarono come lupi e non rispettarono né Chiese, né Monache, né Sacerdoti. Uccisero otto Sacerdoti e fu tanta la loro ferocia che ruppero le custodie degli altari, gettarono a terra le ostie consacrate per rubarsi le pissidi. Tutti quelli che incontravano dinanzi uccidevano, chiamandoli giacobini, e cosi crudelmente ne uccisero circa cento. Entrati che furono nei palazzi, si presero tutto ciò che loro piaceva. Scavarono gl’intonachi delle pareti, e i pavimenti delle stanze per trovare depositi. Ai poveri, chiamati a bella posta, davano quel che a loro non piaceva. Fecero dalle case dei possidenti trasportare tutto il grano, tutto il formaggio, tutta la lana e tutti i cassoni e quel che non era di loro gradimento lo davano ai poveri. Poscia andarono alle abitazioni della plebe: quelle che trovavano chiuse aprivano e gettavano a terra con le scuri. Dettero il sacco tutto il giorno continuamente sino ad un'ora di notte, e tolsero anche tutte le cavalcature che trovavansi in città. A dì 11 maggio andarono per tutte le masserie dando il sacco, e rubarono buoi, pecore, vacche, tutto, ed ai poveri galantuomini non rimasero nulla né in città, né in campagna. Per mancanza di bestie, nei molini si adoperarono gli uomini. Per lo spazio di ventidue giorni fummo barbaramente vessati e raro era quel giorno che non passasse nuova truppa e non venisse con l'intenzione di voler saccheggiare. Già il Cardinale un giorno avea promesso un nuovo saccheggio, ma per le preghiere di Monsignore e di tutta la città Ia crudele sentenza non venne eseguita». (cronaca di Giacinto Genco riformulata linguisticamente da Ottavio Serena).
Fu questa la peculiare specificità che caratterizzò gli eventi del 1799 ad Altamura e in pochissimi altri centri in Terra di Bari; il Lucarelli - autore di uno splendido saggio “La Puglia nel 1799”- circoscriveva l’area interessata alla vecchia e gloriosa Peucezia. Altrove, per una diversa conformazione delle strutture economico-sociali, dei poteri pubblici e privati, trionfò il lealismo borbonico.
Quegli eventi hanno segnato la storia successiva della nostra città e agli altamurani è stata consegnata un’eredità gravosa: la voglia di vivere la politica (il governo della cosa pubblica) con autentica passione democratica e nell’interesse dell’intera comunità.
E’ questa l’occasione per ripensare a quella felice stagione finita male (non poteva essere diversamente data la situazione interna ed internazionale) ma che ancora oggi suscita, forti passioni e laceranti divisioni. Non è altrimenti comprensibile l’operazione di revisione storica scatenata dagli studiosi e opinion leaders di orientamento borbonico, volta a sminuire l’esperienza rivoluzionaria e a ridurla ad un episodio bellico in cui si mettono sullo stesso piano i morti giacobini e quelli di parte sanfedista. Riannodare il filo rosso che ci lega al nostro passato, in un periodo in cui la memoria storica è in serio pericolo, è necessario e doveroso. Nel 1899 la borghesia cittadina di allora, esaltando le imprese dei “Martiri del 1799”, mise a segno un’operazione ideologica di grande spessore, creando il mito della “Leonessa di Puglia”. L’obiettivo era chiaro e nobile: legittimarsi nel ruolo di nuova classe dirigente all’interno del nascente stato unitario che loro avevano contribuito a costruire. E l’attuale classe dirigente che propositi ha? Quale messaggio si vuole lasciare alle nuove generazioni a 220 anni da quell’evento?
Il Coordinamento Leonessa di Puglia 1799 – 2019, ricostituitosi dopo il Bicentenario, ha ribadito, attraverso le proprie iniziative messe in campo per l’intero anno, la propria visione incentrata sulla riflessione attenta e articolata di quel periodo storico e dei successivi che hanno fondato l’identità degli altamurani. Di questi tempi non è cosa da poco alla luce di chi cerca di raggranellare il consenso popolare con il populismo, assecondando i più beceri luoghi comuni. La posta in palio è altissima: c’è da ricostruire il senso di appartenenza ad una comunità e la partecipazione come elemento fondante della democrazia.