Il carteggio tra il meridionalista altamurano e l'illustre medico e politico
di Domenico Di Nuovo
Nicola Damiani, foto Foto Archivio Damiani, Fondazione Di Vagno
Benché incomparabili con le Lettere pugliesi confluite in un Popolo di Formiche, le sei missive indirizzate da Tommaso Fiore a Nicola Damiani serbano un pregnante significato giacché attestano dei contatti politici ed amichevoli allacciati con una delle personalità più in vista del meridionalismo e cattolicesimo democratico della Terra di Bari, e non solo.
Conservate nel fondo Damiani presso la Fondazione Di Vagno, esse coprono un arco temporale che va dal 1956 fino alla metà del decennio successivo: un periodo segnato dai graduali approcci a un governo di centro-sinistra ‘organico’ e non meno caratterizzato da un intervento straordinario che avvierà anche in Puglia un processo di rilancio industriale con gli aiuti di Stato.
Le carte in questione consentono di leggere in filigrana lo scenario politico-amministrativo entro cui viene a trovarsi la città capoluogo in quegli anni. Il destinatario, affermato ginecologo nonché stretto sodale di Aldo Moro sin dalla comune esperienza nella Fuci, si trova a guidare come primo cittadino di Bari una Giunta minoritaria di centro che dura in carica solo nove mesi (dal 14 luglio del ’56 fino al 28 marzo del ’57), avvalendosi tra l’altro di un primo, sperimentale appoggio del partito socialista.
Su posizioni ideali avverse ma convergenti il socialista Fiore (peraltro esponente della Federazione provinciale) e il dirigente democristiano comprendono assai bene che occorre un deciso cambio di passo per avviare delle iniziative socio-economiche fuori dagli angusti schieramenti di centro-destra. I tempi e il contesto generale non sono certo maturi per un esecutivo “alternativo”, ciononostante la propensione a un suo leale sostegno appare in tutta evidenza sin dalla prima lettera inviata dall’Altamurano, il 5 agosto del ’56, al neo eletto Sindaco.
Scrive infatti a quest’ultimo: Personalmente non ho pregiudiziali contro nessuno e nemmeno può averne il mio partito, il P.S.I., il partito dell’apertura. Non si tratta di fare un matrimonio, ma anche per vivere d’amore e d’accordo fra buoni vicini di casa, bisogna che ci sia buona volontà da parte di tutti i vicini. Non ho ragioni di dubitare della sua buona volontà e spero che lei riesca a superare gli ostacoli che si frappongono, nel Mezzogiorno più che altrove, a chi voglia innovare in Amministrazione...
E’ una dichiarazione di aperta disponibilità al dialogo e alla collaborazione, confermata peraltro da una successiva del 29 gennaio del’57 allorquando incoraggia il Damiani a promuovere sul posto una riunione di esperti per discutere sui problemi economici del Medio Oriente.
Se siamo d’accordo, – annota – Ella dovrebbe innanzitutto chiedere l’aiuto finanziario della Provincia, della Camera di Commercio e della Fiera del Levante. Ottenuto questo impegno, si dovrebbero convocare costoro insieme con i capi-gruppo del Consiglio Comunale, per stabilire la composizione del Comitato Promotore, di cui Lei sarebbe naturalmente il Presidente, e qualche altro dovrebbe essere Segretario. Dopo di ciò si formula un piano nelle grandi linee e si nomina un Comitato di azione. Va bene così?
Alla stregua poi di quanto promosso dal primo cittadino di Firenze Giorgio La Pira, si lancia in un accorato appello con queste parole: A parer mio Lei dovrebbe convocare qui, come Sindaco, i sindaci interessati, e solamente i sindaci. Così ha fatto per es. La Pira, per il problema della pace. Questi sindaci dovrebbero essere sia del Medio Oriente che degli altri paesi interessati, vale a dire Grecia, Bulgaria, Italia Meridionale, Sicilia, Egitto ecc. ecc. Ma questo è lavoro del Comitato di azione. La data? Ai primi di maggio, direi, sia per la stagione, sia perché lavoro preparatorio ce ne vuole!
Come forse prevedibile, a distanza di solo pochi mesi dal varo dell’Esecutivo, l’instabile maggioranza va incontro a una crisi amministrativa, attratta - com’era - dai forti richiami delle formazioni di destra da cui lo scudocrociato faticava non poco a distaccarsi. Ed il motivo, o meglio il pretesto, risiederebbe in un specifico episodio – denunciato dallo stesso Fiore al segretario nazionale Nenni in una nota del 18 marzo 1957 – giacché in sostituzione di un assessore di minoranza cattolica, era stato nientemeno eletto che il capogruppo socialista Cillo ( il più destro dei nostri ); ma la D.C., contraria alla presenza di un personaggio di sinistra, avrebbe addirittura preferito far dimettere l’intera Giunta, pregiudicando un’esperienza basata su equilibri programmatici più avanzati.
Nel merito di questa vicenda, ancora il 19 aprile successivo egli si rivolgerà al consigliere Damiani lamentando tutto il disappunto per il ritorno al conservatorismo.
Quello che penso, e che ho proclamato ai quattro venti, te lo posso scrivere. Nel momento attuale toccano alla D.C. e al P.S.I. le gravi some di governare e amministrare il paese. Il P.C.I. può avere compito di controllo e di sprone. L’esasperato patriottismo del M.S.I. non ha alcuna funzione storica.
Per quello che riguarda Bari, se fossi dipeso da me, non avrei fatto scoppiare la crisi comunale. Ma più deplorevole è che la D.C. sia di nuovo scesa a legami con la destra. Ed ora? Mi auguro che ognuno riconosca di aver sbagliato e torni sui propri passi. Il nostro movimento di separazione a sinistra progredirà via via. E la vostra separazione dalla destra? Non mi resta che fare i migliori auguri per la comune libertà del paese, per il progresso dei nostri due partiti nella libertà.
Più in avanti (in data però imprecisata) non lesinerà nei riguardi del destinatario parole di stima ed incitamento a proseguire nell’attivismo politico, nonostante talune difficoltà o condizionamenti di sorta. Tra l’altro, è opportuno sottolineare che il Damiani ha ricoperto anche la carica di consigliere provinciale di Bari dal 1960 al 1962 e il ruolo di responsabile per lo scudocrociato nel medesimo territorio dal ‘61 al ‘69.
Finora – osserverà in proposito - tutti in provincia e fuori sanno che tu hai la leadership della D.C. per Bari e Terra di Bari. Si vuol cambiar capo? E’ una operazione rischiosa, alla vigilia delle elezioni, e vi esponete leggermente a perdere dei voti, che finiranno nella destra reazionaria. Non credo affatto che tu voglia, come s’insinua, ritirarti dalla politica. La D.C. farebbe una grossa perdita. E un po' anche la democrazia senza aggettivi…
A conferma della sua poliedrica personalità, giova rimarcare che il politico cattolico si è distinto anche come un attento studioso delle problematiche del Barese, della Puglia e del Sud nel suo complesso. Seguace di un meridionalismo riformista ed europeista sulla scia degasperiana, è stato membro consigliere della “Cassa” dal 1959 al 1971, rendendosi partecipe anche di talune elaborazioni ed attività promosse dal Gruppo dei meridionalisti animato da Vittore Fiore, in stretta sintonia con altri sodali o amici come Renato Dell’Andro, Mario Del Viscovo o Giovanni Papapietro.
Spetterà ad un’altra sede analizzare un accurato profilo di questo specifico impegno civile e culturale. Quel che adesso preme accennare è una sua dettagliata introduzione ai lavori di una nota Assemblea sul Mezzogiorno indetta dalla segreteria provinciale del Partito il 19 e 20 gennaio del ‘59. Ovvero una disamina attenta sui risultati raggiunti dalla Cassa in Terra di Bari, ma anche una critica sottolineatura delle insufficienze e priorità ancora sul tappeto a distanza di quasi un decennio di attività (la stessa fase dell’industrializzazione pubblica è ancora in fase di decollo), tanto che lo stesso scrittore-umanista gli esprimerà a stretto giro alcune personali considerazioni, accompagnate da un sincero apprezzamento per l’esposizione delle problematiche.
Tommaso Fiore
Stamane – annota in una missiva del 20 gennaio – mi sono letto la tua relazione al Congresso provinciale per il Mezzogiorno…e mi congratulo teco per il perfetto dominio tecnico dei problemi e soprattutto del tono fermo del discorso.
In merito ai soliti problemi irrigui Fiore lamenta il fatto che mentre Foggia ha potuto fare, sin dai tempi del fascismo, una perfetta descrizione delle proprie acque sotterranee per tutta la Capitanata, di converso Bari non ha compiuto nulla, con una pletora di ministri a nostra disposizione.
E’ veramente sconfortante. I nostri uomini politici, dico nostri, di ogni Partito, hanno altro per la testa che occuparsi dei nostri problemi locali. E tu sai che per la soluzione del problema industriale si naviga al buio. Né la D.C., né il P.S.I né il P.C.I. sono in condizione di suggerire qualcosa al governo con ragione veduta, cioè con precisione scientifica. Le perdite subite nell’industrializzazione sono maggiori degli acquisti, con tutti i finanziamenti ottenuti.
Un’altra sua puntualizzazione verte sulla ‘calda’ tematica delle cooperative, insufficientemente sostenute dal governo centrale, eppure tanto cara a tutte le organizzazioni democratiche e progressiste. La verità – obietta – è che contro il cooperativismo gravano due ostacoli di prim’ordine, anzitutto l’ostilità generale degli agrari e in secondo luogo la politica di discriminazione della D.C.. Dichiaratamente la Riforma Agraria è stata fatta contro il cooperativismo rosso, che pure aveva educato un po' i contadini a stare insieme e a trattarsi umanamente e civilmente. Le vostre cooperative ho paura che non riescano nemmeno ad imporre una linea tecnica razionale.
Al termine gli confiderà: non pensare che io voglia impancarmi a maestro. Tutt’altro! Ma in un paese corrottissimo come l’Italia e più corrotto è il Mezzogiorno, la denuncia non può che essere spietata. Tutti i meridionalisti sono stati sinceri sino al massimo, anche se ognuno con le proprie idee.
Probabilmente l’ultima epistola spedita al medico Damiani è quella risalente al 27 ottobre del 1965, ma stavolta la natura e il tono hanno un risvolto squisitamente privato e confidenziale, per cui varrebbe la pena riportarla integralmente visto anche la sua brevità.
Caro professore e amico, mi consenta di chiamarla così, dacché lei ha voluto mettere a nostra disposizione, per espresso riguardo a me, con la clinica la sua valentia e il suo disinteresse. Non me ne voglia se le scrivo con ritardo, la mia dattilografa era assente e io sono un vecchio abitudinario.
Dunque, caro Damiani, il suo nome resta ormai legato alle nostre famiglie Fiore e De Lucia, col ricordo più gradito di questo mondo, la venuta alla luce di una bell piccina, Barbarella, per cui noi le siamo e le saremo sempre riconoscenti. E grazie, grazie affettuose, caro amico, dal suo devmo obblmo. Tommaso Fiore
A margine di queste preziose fonti documentarie andrebbe sottolineato che - pur in assenza di un’intensa e frequente corrispondenza - esse certificano la profondità, la lealtà e il reciproco rispetto di due intellettuali distanti per estrazione ideologica e professionale, eppure accomunati da alcune affinità in ambito intellettuale, civile e sociale, tutte all’insegna di una condivisa battaglia per il riscatto della Puglia e del Meridione nei decenni successivi al secondo dopoguerra. Una lotta per la democrazia, il progresso e la libertà per la quale essi si spesero con tanta forza e spassionatamente, specie a sostegno dei ceti più subalterni.
Manfredonia, 28 ottobre 2022