Dopo cinque lustri
Colloqui con Gobetti
di Tommaso Fiore
Piero Gobetti visto da Felice Casorati
Ci pieghiamo con tremebonda commozione verso la tomba di questo giovine apertasi il 15 febbraio '26, e grazie siano rese a Paolo Spriano, che ne ha saputo scegliere il pensiero più vivo
in questa «Coscienza liberale e classe operaia», Einaudi 1951. Con la sua prefazione si può anche consentire, salvo che nessuno di noi, collaboratori del piemontese, si è mai accorto di un Gobettí conservatore (p. 18).
La situazione presente del governo e del suo partito è di opposizione al vecchio Stato che per quel poco di liberalismo che espresso, suole essere accusato di statalismo. E dice Gobetti:
«la vecchia posizione demagogica della Chiesa cattolica, eternamente preoccupata di opporre il popolo allo Stato, dove questo rappresenta l'eresìa» (p. 46). Mi tornano a mente alcune affermazioni dell'«Osservatore Romano» del 24 scorso sulla miseria generatrice di comunismo, come chi dicesse, di organizzazione combattiva di difesa della classe operaia! No: la verità è un'altra, e «L'arma della Chiesa è stata sempre offerta della miseria universale. Il fascismo è cattolico con perfetta logica» (p. 65). E noi potenti invertire i termini: il cattolicesimo è fascista, non conosce la libertà, le lotte degli operai.
Lelio Basso ha tirato la conseguenza di questa identità sostanziale scrivendo che due sono i totalitarismi, quello fascista e quello cattolico. Ma la pochezza ideale e filosofica della DC della storia moderna sono iniziativa di popolo e che la difesa della libertà, contro l'autorità degenerata in dispotismo non spetta più a nessuna dottrina e a nessun padre spirituale, ma ai cittadini stessi che difendono lo loro dignità di coscienza autonoma... A questi tranquilli ed eclettici ragionameml vien tatto di opporre la storia dolorosa di un secolo di lotte in regime di industrialismo moderno, i sogni di liberazione dell'esercito di proletari oppresso e tenuto fuori a forza dalla possibilità di vivere e di pensare da libero: in questa ribellione, in questa rivoluzione morale vivono le possibilità sociali, di domani, l'ordine nuovo, l'autorità e la libertà degli oscuri; sofferenti di un mondo al quale la parola della chiesa cattolica non reca nessun imperativo ai dignità» (pagg, 200-201). Altro che le vociferazioni continue dei messaggi vaticani sull'insegnamento cattolico promotore e difensore della dignità umana!
Disse a me una volta Emilio Lussu che se fosse vissuto Rosselli, avrebbe promosso non già il liberal-socialismo ma il comunismo liberale. Ma il problema torna sempre a riafacciarsl a
proposito di uomini come Dorso, come Rosselli e lo stesso Gobetti. Sono essi del liberali ovvero sono per la rivoluzione proletaria? Dobbiamo, per essere fedeli al loro verbo, immobilizzarci nello splendido palazzo della tradizione liberale, ovvero scendere nella polvere delle lotte proletarie! Accettare la condanna di questi movimenti dal basso, in
nome del liberalismo di Docqueville o di Croce, ovvero salutare la marcia trionfale del marxismo affrancatore? Se oggi il clamore della lotta è racconto da stordirci, la nostra coscienza, alla quale 25 anni fa Gobetti ha rivolto il suo ardente appello giovanile. Non può essere mistificata, anzi la sua fedeltà agli insegnamenti del giovine morto sta proprio in questo guardare oltre le forme. «Anche il movimento operaio è un mirabile esempio di liberalismo, dirà egli al vecchio maestro Einaudi, anch'esso nasce senza una teoria» (p. 85).
Tornano, purtroppo, situazioni che noi crediamo superate per sempre, del quetismo antiliberale, cui la tradizione cattolica post-tridentina offre i suoi papaveri mortificanti. Ma «per vincere l'ossesione dell'anarchia bisogna accettare il culto della lotta dl classe. Invece i democratici italiani hanno giurato a Marx l'odio più implacabile» (p. 107).
E ancora. come se non bastasse: «Una democrazia vera deve nascere sul terreno storico del marxismo e i democratici italianl sulle orme del buon Colaianni, imprecano a Marx, sono fior di reazionari» (p. 108). Nè si tratta di orientamento al lume di naso ma di accettazione vera e propria delle basi filosofiche. E «l'ora ai Marx», proclama questo liberale nell'aprile '24 e spiega le sua accettazione: «Il materiallsmo storico (senza determinismo, che sarebbe un fraintendere il cocetto luminoso di rovesciamento della praxis) e la teoria della lotta di classe sono strumenti acquisiti per sempre alla scienza sociale e che bastano alla sua gloria di teorico» (p.168) Anche per Gobetti e Marx, non Croce il profeta dei tempi moderni.
Ma la funzione egemonica del proletariato è chiaramente bandita dal giovine politico irrobustitosi al contatto degli operai della Fiat e del pensiero di Gramsci. «Le forme dell'opposizione liberale le discuteremo quando interverrà l'elemento risolutore e maturo della situazione, quando il movimento operaio superata la crisi della disoccupazione, si schiererà per la battaglia, armato della sua intransigenza e della sua forza irresistibile» (p. 153). E ancora più chiaramente, come se parlasse alla generazione che doveva seguirla; «La sola riserva solida di ogni nuova politica futura è il movimento operaio. Se intorno all'Aventino è venuta formando un'élite di giovani che capiscono la situazione, che non si fanno illusioni, essi hanno il dovere di smetterla con le inconcludentl polemiche contro i comunisti che minacciano di diventare un utile diversivo, di non occuparsi di teoria delle classi medie, di non escogitare astuzie di colpi di mano, ma di lavorare con lealtà per il fronte unico operalo. anche se questo lavoro, per le attuali condizioni di pressione delle masse, non è per dare frutti immediati» (p. 204).
A coloro che come La Malfa pretendono di guidare, quasi gregge, il popolo dall'alto dell'lntellettualismo repubblicano, si può ricordare l'avvertimento gobettiano, che «dal calderone piccolo-borghese nessun cuoco riuscirà a trarre qualcosa di diverso dal fascismo o dal giolittismo»(p. 166), Ciò non vuol dire che ci sia da farsi illusioni sulle malattie storiche del nostro paese «retorica, cortigianerla, demagogismo, trasformismo» (p. 178)
QuaI è la causa delle cause? «il pauperismo italiano giustifica il sovversivismo delle plebi e l'equilbrismo filisteo e cortigiano delle élites». Questo è marxismo prima di Marx. in cui anche la migliore tradizione della nostra democrazia concorda, quella di Cattaneo, e vuol dire che il primo nostro dovere è di combattere la miseria «l'esistenza In Italia di 500.000 disoccupati (si parla di 30 anni fa) che si fanno mantenere dallo Stato per salvarsi dalla fame. La situazione si cominciò a manifestare nel l860 e ll brigantaggio ne fu la conseguenza. Non si può più mettere in dubbio che il brigantaggio succeduto ai Borboni non fosse un problema di disoccunazione e di pauperismo» (p. l91). E queste sono le ragioni per cui noi continuiamo la lotta. «Una nazione che crede alla collaborazione delle classi, che rinuncia per pigrizia alla lotta politica, una nazione che vale poco» (p.149).
Contro il medievale totalitarismo clericale si leva «il lavoro, il diritto e il dovere al lavoro, la legge dei mondo di Ford» (p. 249). E di tutto il mondo moderno.
13 marzo 1951