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IO PROTESTO
Di seguito il resoconto stenografico dell'intervento di Giacomo Matteotti tenuto alla Camera il 30 maggio 1924 in cui contestava i risultati elettorali delle elezioni tenutesi il 6 aprile dello stesso anno e le irregoralità commesse dai fascisti per vincere le elezioni.
Un vero inno alla libertà a 100 anni dall'uccisione dell' esponente socialista avvenuta il 10 giugno 1924 per mano di cinque sicari guidati da un certo Amerigo Dumini.
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La riforma del fisco secondo Matteotti
Rigore e giustizia contro i populisti
di Francesco Tundo
Si può ancora parlare di tasse con serietà e competenza, senza cedere alla tentazione di farne un tema da perenne campagna elettorale? Un po' a sorpresa, la risposta viene dall'aspetto meno noto del pensiero di Giacomo Matteotti.
Di Matteotti, a cento anni dal rapimento e dal brutale assassinio per mano fascista, si sa quasi tutto. Delle lotte per i braccianti del suo Polesine. Del coraggio nel denunciare le violenze inaudite dello squadrismo in camicia nera. Della grande competenza, alimentata da uno studio incessante. Della precisione tagliente nei dibattiti alla Camera. Dell'audacia nell'irridere le sparate propagandistiche del dittatore. Della fiducia incrollabile nei principi dello Stato di diritto e nei fondamenti della democrazia parlamentare. Sostanzialmente sconosciuta è, invece, la dedizione di Matteotti alla questione tributaria, che pure è stata centrale nella sua azione politica, basata sulla funzione redistribu tiva dell'imposizione a fini di giustizia sociale. Sono in pochi a saperlo, eppure Matteotti si è dedicato intensamente a una materia che anche al suo tempo era oggetto di iniziative demagogiche e frammentarie, alle quali lui ha contrapposto proposte rigorose e moderne.
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L'eroica resistenza degli altamurani al cardinale Ruffo
di Giuseppe Dambrosio
Il 10 maggio 1799 si concludeva l'esperienza della Repubblica altamurana iniziata il 1 gennaio dello stesso anno che aveva coinvolto una intera città di ben 17.000 abitanti. Tutte le classi sociali avevano dato il loro contributo alla costruzione di un modello di governo cittadino che si ispirava agli ideali della rivoluzione francese: la piccola borghesia molto attiva, i bracciali (i braccianti attuali) che versavano in condizioni di vita dignitose, il ceto medio (massari, bonatenenti, professionisti), la nobiltà altamurana non assenteista e dedita al commercio di cereali che prendevano la via di Napoli, il clero che si era schierato per la Repubblica. Altrettanto determinante fu l'entusiasmo degli studenti della fiorente Università degli Studi che, insieme ai loro docenti, di formazione laica, si sono battuti per un' Altamura libera e repubblicana.
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I titolari del Grande Torino erano tutti molto dotali tecnicamente. Il portieriere Bacigalupo era genovese e studiava medicina. Non si allontanava apposta dalla traiettoria della palla per compiere balzi più vistosi: era di stile sobrio e misurato: parava Il parabile, come
usano i grandi portieri. Ballacin terzino destro, era chioggiottostilisticamente splendido, era capace di anticipi imperiosi, di entrate in tackle piene di grinta, di respinte al volo tempestive ed energiche. Il terzino sinistro era Saroso, uno dei prodosti più clas-
sici del calcio italiano in as
so luto. La longilineità confe-
rivaeleganciadognisunge-
sto aponbticn, il tocco di pal-
la era morbido, la precisio-
ne somma. cod l'intuito
creativo e pertino 1l sen.50
del gol. Stopper era
bee-scino Rigamonti. Anche
hai studiava medicina. Ave-
va muscolatura possente,
quasi ipertrofica, staccava
con prepotenza per colpire
di testa anticinava e incon-
rava con la grinta di un ma-
stino. in centrocampo nasceva l gioco. I due mediani erano il vercellese Castigliano e il triestino Grecar. Il primo era di struttura potente
e sapeva battere a rete da
fuori area con tiri 940315881-
ti. Il secondo era più conte
nuto ed elegante nel porge
re, quasi semper in appug-
gio a quel grande patrundel
campo che era Valentino
I titolari
di quella squadra
erano tutti molto dotati
tecnicamente
Mazzola. Quando Ciotiglia-
no avanaira per conclale-
re, solitamente era Loikaco-
prire il suo spazio. Con Va-
lentino non servivano pre
cauzioni di sorta. L'omarino
cuntend diceva allasuastrut-
tura con prestazioni e alteg-
prementi da autentico gigan-
te del nostro sport. Scattava
come gli consentivano le lar-
che sezioni del suoi muscoll
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rurali, reggeva ala fatica
da fondista puro: Usava
due piedi ed inventava gio-
co con inesauribile fantasia:
quando eraneesucio, sipo-
va elevarsi a match winner
con mirabili acrobacie, salti
mortali all'indietro e tiri a
volo em bicycleta, come di-
cono con bella metafora
bradineti. Il contrimnti era
Gabetto, prodotto juventi-
no. Chiuso in Juventus da Fe-
licino Bocel, Gabetto era
emigrato in partibus indide-
lium, arricchendo il doco to-
rinista dei suoi estri balzani,
le sue acrobecie a filo d'er-
ba, i ghiribizzi, le continue
trovate a sorpresa. Lolk era
un cursore lento e costante,
un ruminatore di caldo e di
chiloenetri, spella ideale per
Miccoola, cui spettava l'alts-
ma rifinitura se non, cute
spesso accadeva, anche la
conclusione. Infine le alt a
destra Berto Menti, vicenti-
no, a sinistra Choola, lombar-
dodi Varese. Menti i evala
dinamite nel destro:
ogni
apertura verso di lui creava
occasioni per bordate assas-
sine. Ossola era più giocolle-
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se di si addicevano il con-
trollo, il dribbling, il ricamo
elegante: e sgusciava in area
come un'anguilla, ma più
speso amava servire i com-
pugni più abili di lui nel tira-
re. Osiola aveva preso il po-
sto di un vecchio dio degli
stadi a nome Ferraris I1, ver-
cellese. Aveva facto in tem-
po a vestire la maglia accour-
sa, una volta avvenuta la fu-
ga di Orsi, ma Puzzo lo ave-
La notizia gettò
nello sconforto la
gentile città di Torino
e con essa tutta l'Italia
vasocicuito con Colassi do-
po la magra iniciale con la
Norvegia, all'avvio dei Son-
dial 1938. Nel Torino, Fer-
raris 11 spese le ultime e fu la
sua fortuna, perché ritiran-
dosi dell'agoniano salvo la
vita. Perirono invece Culti i
citolari in maglia granata e
con essi i giovani Bongiomi,
nazionale francese, Martel-
, bresciano, e Fadini, milla
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nese di grandi speranze. Ildi-
subironerto di Superga cott-
mode il mondo intero. Ebbe
luogo il 4 maggio 1949. Fu
un temibile urto control ba-
amento della Basilica di Su-
perga. L'aereo con a bordo il
Torino rimirava da Lisbo-
na, dove averaperduc.osen-
2a drammi un amichevole
con il Benfica. L'atterraggio
doveva aver luogo a Mila-
no. Per la smania di rientra•
re, all'ultimo istante il pilo-
ta devid VEZSO Torino. Lo
schianto fu orribile, Linto
che i poveri corpi ne venne-
ro tutti sconciati. Con i soci-
nisti perirono Erbstein, Li-
vesley e tre giamalti di fa-
ma culi Cibalbore, Caval-
Jero e Tosati. Lanoticia get-
1o nello sconforto la gentile
città di Torino e con essa tut-
ta l'Italia. Con il grande Tori-
no 2 calcio nazionale per-
Sette una decina di elemen-
ti detici di classe interaccio-
nale certa. Il tragico evento
sarebbe costato al nostro
sport un ritardo di almeno
20 mani nei confronci deali
altri paesi protagonisti del
calcio mondiale. -
"per cannokoe
dell'ArchivioSleedaderl
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C'è corrente elettrica nell'aria. Ed è molto cattiva. Aleggia da tempo sulla città come un'enorme nuvola nera. Il suocentro è una stanza nuda e lugubre all'interno del penitenziario di Charlestown, un sobborgo di Boston, nel Massachusetts. Qui, tra poche ore lo Stato ucciderà
due innocenti. Due immigrati italiani, due amici, due anarchici: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
In questa «bastiglia che eclissa in infamia qualsiasi altra prigione degli Stati Uniti» (le parole sono di un governatore democratico), in questo pavido carcere distante solo poche miglia dal molo in cui approdavano le navi degli schiavi destinati ai "civilissimi" bostoniani, il Commonwealth del Massachusetts, con la sua parata di giudici, procuratori, giurati, governatori, poliziotti, ministri e boia, eseguirà presto l'ingiusta sentenza di condanna per due omicidi mai commessi.
Così poco avvezzi alla lingua inglese ma così fermamente contrari a ogni guerra e a ogni tipo di sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, i due italiani, l'uno di Torremaggiore in provincia di Foggia, l'altro di Villafalletto, nel Cuneese, sono infatti colpevoli a prescindere: a stabilirlo sono pregiudizi razziali e l'odio politico che fanno da concime alla "terra dei liberi e la patria dei coraggiosi".
Togliendo loro per sempre la parola e la vita, lo Stato conta di dare una lezione a tutti gli "anarchici bastardi" - come li aveva definiti il giudice del processo -ai comunisti, agli iscritti ai sindacati dei lavoratori e a tutti i presunti sovversivi che sobillano alla ribellione per rovesciare il governo e incenerire le fondamenta di questa virtuosa società.
Per sette anni ha perciò rifiutato di accogliere le mozioni di riapertura del processo e le richieste di appello presentate dagli avvocati; per sette anni si è pervicacemente impegnato per dimostrare come la sua forza suprema riuscisse a vincere sulle mobilitazioni degli artisti, degli scrittori, dei giornalisti, degli intellettuali; per sette anni ha tenuto Nick Bart prigionieri in celle anguste, ignorando tutte le prove e i testimoni che avrebbero potuto scagionarli ben sapendo che, alla fine, per loro non ci sarebbe stata che la sedia elettrica.
Ma affinché tutto questo si compia, bisognerà attendere la mezzanotte. A quell'ora la tensione che da anni elettrizza non solo l'aria di Boston si trasformerà in una serie di potentissime scari- che di corrente alternata che folgoreranno i loro corpi e quello di un altro detenuto: Celestino Madeiros, il reo confesso dei due omicidi. Quando arriva la mezzanotte del 23 agosto 1927 il boia, un uomo di mezza età dall'aspetto insignificante, è pronto ad abbassare la leva. Prima tocca a Sacco, qualche minuto dopo al compagno.
A mezzanotte e 27 minuti tutto si è compiuto. Ma, a quel punto, la corrente non si ferma più. La mobilitazione Grazie anche all'impegno del Comitato di Difesa costituito dopo il loro arresto al civico 256 di Hanover Street, nell'italianissimo quartiere di North End, a Boston, quella corrente percorre città, valica montagne, attraversa mari e oceani per concentrarsi ovunque: nelle piazze, nei quartieri, nelle fabbriche, nelle sedi dei comitati contro la pena di morte, nelle redazioni di molti giornali del continente americano come della vecchia Europa.
Dopo la loro esecuzione, quella stessa corrente diventa una scarica elettrica dalla potenza ancor più sorprendente: attraversa le
istituzioni, provoca rivolte, attentati, redige proclami di guerra contro lo Stato assassino e la sua famigerata red scare, proclama scioperi, chiede giustizia, accende lo scontro di classe. Per opportunità politica, l'Italia sceglie invece di non schierarsi apertamente contro gli Stati Uniti preferendo portare avanti una più cauta attività diplomatica. A raccontarci in modo appassionante e coinvolgente la complessità di una storia che a distanza di così tanti anni non smette di far discutere è un volume da poco approdato in libreria: Sacco e Vanzetti. La salvezza è altrove, scritto dal giornalista, scrittore e cantautore Paolo Pasi e pubblicato da Elèuthera.
Combinando lettere e documenti d'archivio a una scrittura efficace in cui la narrazione si fa romanzo, Pasi dà voce alla vita, alle idee, alla resistenza e alla disperazione di Ferdinando (che diventerà Nicola quando fuggirà in Messico con - compagni anarchici per evitare la chiamata alle armi), ma soprattutto a quelle di Bart, che parteciperà anch'egli al viaggio messicano e che proprio in quell'occasione avrà modo di conoscere il compagno. Su di loro e sul caso giudiziario che li ha visti protagonisti, molto è stato prodotto in questi cent'ani quasi, in Italia, in Europa e negli Stati Uniti: film, canzoni (da Protesta per Sacco e Vanzetti della Compagnia Columbia e Sacco e Vanzetti del tenore Raoul Romito del 1927), drammi teatrali, fumetti, articoli, paper scientifici, romanzi, saggi, l'ultimo dei quali pubblicato lo scorso anno. Viaggio a Villafalletto Perché, dunque, un nuovo libro?
«Perché ero convinto che dietro le loro vicende processuali ci fosse molto di più. Pensiamo a Vanzetti, per esempio, che amava il canto, la lettura, la scrittura: egli aveva trovato una finestra di libertà interiore proprio nello spazio ristretto del carcere; aveva imparato a essere felice attraverso il dolore, a resistere per mezzo della parola. Ho vissuto la loro storia come un dramma moderno, che contrappone come sempre le ragioni della tirannide con quelle della libertà. Lo stesso Vanzetti lo sosteneva quando scriveva: "Il nostro caso fu fin dal prin-
cipio, è, sarà fino alla fine una scaramuccia dell'eterna guerra fra la tirannide e la libertà"», spiega Paolo Pasi.
Forse è per questo che alla "terra (che si crede) di Dio" ci è voluto mezzo secolo prima di riabilitare moralmente le loro figure:
SOlo nel 1977, infatti, l'allora governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, ha ammesso che il processo che li condannò era
«viziato da pregiudizi contro gli stranieri e i dissidenti». Strutturato in quattro parti, due delle quali interamente ambientate all'interno del carcere, arricchito dalle belle illustrazioni di Fabio Santin, il libro (e con esso l'avventura del suo autore) comincia da un paese del Piemonte
bagnato dal fiume Maira: Villafalletto, il luogo degli affetti e della memoria, abbandonato a 20 anni da Tumlin, come lo chiamavano in famiglia, per scappare dal dolore per la morte della madre.
«A Villafalletto ho respirato le vibrazioni della storia: quando ho visto la casa dove vivevano iVanzetti e il lungo viale alberato che portava alla vecchia stazione, mi sono calato nei panni di Bart, l'ho immaginato mentre usciva da quella porta per cominciare un viaggio da cui non avrebbe mai più fatto ritorno. Il primissimo passo però, quello che mi ha portato a pensare e a scrivere questo libro, l'ho fatto dopo aver let-
to Un pezzo da galera di Kurt Vonnegut, con le sue straordinarie pagine sui due anarchici che diventano metafora dell'insofferenza al potere arbitrario». Incongruenze e ingenuità Bartolomeo, e con lui Nicola, vivono sulla pelle quell'America amara che vuole essere degli america-
ni, non certo degli stranieri o dei radicali. In un passaggio di una lettera ai familiari è lo stesso Vanzetti a sottolinearlo: «Qui è bravo
chi fa quattrini, non importa se ruba o avvelena; la giustizia pubblica è basata sulla forza e sulla brutalità, e guai allo straniero e in particolare all'italiano che voglia far valere la ragionecon mezzi energici». coloro che non si adeguano al suo way of life, la sospettosa America ossessionata dal bolscevismo riserva gli arresti, le torture e i rimpatri forzati previsti dal famigerato "piano Palmer". «Non volevo scrivere la storia di due eroi, ma raccontare la loro vicenda umana con tutte le incongruenze e le ingenuità che caratterizzano la vita di qualsiasi per-
sona. Pensiamo solo alle mezze verità abbozzate in un primo momento per il timore di essere espulsi e all'arma che detenevano al momento della cattura: un "dettaglio" enfatizzato dall'accusa che Vanzetti giustificò come autodifesa. "Non sono tempi tranquilli", disse. Non dimenti-
chiamo, infatti, che due giorni prima dell'arresto l'anarchico Andrea Salsedo precipitò da un edificio di Manhattan dove aveva sede l'Fbi».
Nemmeno oggi viviamo tempi tranquilli: la realtà è persino più complessa di quella vissuta da Nicola e Bartolomeo, eppure la loro storia ci può insegnare ancora tanto. «È la testimonianza di due persone che hanno scelto di non stare al proprio posto, in quello cioè che gli era stato assegnato, e di ribellarsi. È una storia attuale perché ci parla del coraggio di non obbedire al potere, di al non rassegnarsi allo sfruttamento, di
non farsi schiacciare da un'autorità che vorrebbe annientare le ragioni degli individui, i loro sentimenti, i loro sogni. Allo stesso tempo ci parla dei confini, della guerra, della pericolosa logica dei nazionalismi. Nell'aula dove si svolse il processo», conclude l'autore, «i due risposero con parole meravigliose all'accusa di diserzione che venne loro mossa: disertare.,dissero, non significa sostenere le ragioni del nemico, ma ritrarsi dallo sparare al nemico, non partecipare alle violenze e agli assassini, stare dalla parte della pace».
Domani 10 febbraio 2024
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Striscia di Gaza
di Mohammed R. Mhawish*
L’attacco israeliano alla Striscia di Gaza dura da più di 120 giorni, e nella città di Gaza affrontare le difficoltà quotidiane come restare al sicuro, combattere le fame e proteggersi dal freddo è già una guerra. Centinaia di migliaia di persone hanno perso le loro case. Poi anche un posto dove ripararsi. Israele li ha bombardati tutti: ospedali, scuole, ambulatori e qualunque spazio aperto dove potevano radunarsi i civili. L’intera popolazione di Gaza è stata sfollata. Dopo che la nostra casa è stata bombardata non sono stato più solo un testimone delle migliaia di persone in fuga. Io e la mia famiglia siamo andati in un rifugio delle Nazioni Unite nel nord della Striscia di Gaza, diventando a nostra volta sfollati come gli altri.
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BARI 28-29 GENNAIO 1944
A DIECI ANNI dal Congresso della Libertà
di Tommaso Fiore
A 80 anni dal 1° congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale, tenutosi a Bari al Teatro Piccinni il 28 e 29 gennaio 1944, riproponiamo un articolo che Tommaso Fiore scrisse per il quotidiano "Il Paese" il 29 gennaio del 1954.
"NON è senza commozione che, tenuta presente la odierna situazione d'impiccio e di divisione che regna nel nostro paese e nel mondo, si scorrono gli atti di quella prima libera assemblea dell'Italia e dell'Europa libera, che, in piena guerra, appena mezz'anno dopo l'arrivo degli Alleati sul nostro suolo, e prima che potessero raggiungere Roma, fu tenuta a Bari fra il 28 e il 29 gennaio, esattamente dieci anni fa nel Teatro Piccinni. Vi parteciparono tutti i partiti politici, quelli che furono prima del fascismo e sono e saranno per mezzo di uomini della statura di Benedetto Croce, di Adolfo Omodeo, di Lello Porzio, di Eugenio Reale, Vincenzo Arangio-Ruiz, che vi fu relatore, di Cianca, Rodinò, Sforza, Lizzadri, Pesenti, Gaeta, Sansonetti, Fioritto, Tedeschi e tanti altri, del posto o di fuori, venuti apposta dall'altro troncone dell'Italia separata. E fu la prima prova, come si legge negli atti, della libertà riconquistata «di riunione di parola, condizione necessaria per il progresso dei popoli».