Tecnica di un massacro

di Adriano Sofri

Lo  scavo nei genocidi contemporanei è la branca più specializzata dell´archeologia. A Srebrenica, occorre mettere insieme il 75 per cento del corpo identificato per dargli una singola sepoltura. Le parti incompiute finiscono nel cimitero comune.

Lo  scavo nei genocidi contemporanei è la branca più specializzata  dell´archeologia. A Srebrenica, occorre mettere insieme il 75 percento   del corpo identificato per dargli una singola sepoltura. Le parti incompiute finiscono nel cimitero comune. Ho chiesto al sindaco: a Srebrenica le persone di nazionalità musulmana   sono oggi fra iduemila e i duemilacinquecento. Una piccolissima frazione, neanche il 10 per cento, di quantierano prima del 1992. Una   piccola frazione anche di quelli - ottomila, diecimila - che furono  sterminati in quattro giorni nel luglio del 1995. È strana, una   popolazione in cui i vivi sono cosìpochi rispetto ai morti, e i morti   hanno tutti la stessa data.

Erano 36 mila gli abitanti diSrebrenica nel 1991, molti di più in quell´estate del 1995, perché le Nazioni Unite   l´avevanosolennemente dichiarata "zona protetta" e vi si erano   rifugiati gli sfollati dei paesi occupatidalle milizie di Ratko Mladic.   Una stessa data per migliaia di morti, uno stesso nome dicarnefice,   uno che seppe fare le cose in grande. Naturalmente, vi diedero mano in   tanti, e lecircostanze si prestarono. Non è facile macellare migliaia   di uomini così in fretta, e seppellirli edisseppellirli, anche, per   provare a dissimularne le tracce. Le tracce sono rimaste, enormi.Anche   un macabro filmato girato dagli assassini, stanchi e fieri della loro   opera. La morte,scrisse il montenegrino-sarajevese Marko Vesovic, è un   capomastro serbo. Anche gli animaliumani sono come certe fiere   addomesticate, che bisogna stare attenti a non far risentire loro il  sapore del sangue perché non se ne facciano travolgere. Il filmato più   orrendo di quellegiornate di Srebrenica, più ripugnante a guardarsi   delle innumerevoli scene di fosse comuni eriesumazioni e donne in   pianto, è quello che tutto il mondo guardò in diretta, quando alla base  di Potocari Mladic interroga il colonnello olandese e gli offre una   sigaretta, e quello gli dicecon un filo di voce che ha già fumato   troppo e poi l´accetta, e poi accetta anche di brindare, epoi la gente   viene messa in fila, donne di qua e uomini di là, e i militari olandesi   dell´Onuassistono e collaborano, e un bambinello biondo viene spinto   fuori dalla fila e il gran generaleMladic dà uno schiaffetto alla sua   faccia frastornata, e finalmente gli uomini di Mladic lanciano  cioccolata ai bambini che si sporgono ad afferrarla. Poi il filmato   finisce e arriva il buio. Quante cose abbiamo capito di Auschwitz da   quel filmato. Come gli animali umani annusinogentilmente l´odore del   sangue, prima di buttarsi. La morte è un abile capomastro, tedesco,  serbo, e all´occorrenza di qualsiasi nazione. Mladic odiava in memoria   di un padre assassinatodai fascisti croati, ha esasperato il suo odio   dopo che una figlia si è ammazzata per orrore dilui. La sua cattura è   avvenuta con un ritardo scandaloso. Però è avvenuta, e benché metta il  governo serbo in imbarazzo quasi come quello pakistano, ha derogato alla   sequela macabra.All´Aja è interdetta la pena di morte. Mladic è stato   preso vivo, a differenza di Bin Laden, evivo si è fatto prendere,  come  il suo camerata e rivale Karadzic: alla morte propria, non tenevano  tanto. A Srebrenica, ieri, i serbo-bosniaci (sapete che, sale  sulla  ferita, Dayton haassegnato all´"entità" serbo-bosniaca la  cittadina  martire) avranno reagito come il resto deiserbi, i più,  forse, ancora,  piangendo l´arresto di un loro idolo, gli altri, chi non  si compromiseo  chi se n´è vergognato, sentendo riscattata l´infamia  che pesa su tutti.  Perché la "colpa collettiva" non esiste sul piano  penale, dove valgono  solo le responsabilità personali provate,ma  esiste tragicamente sul piano morale. Il presidente serbo Tadic  partecipò alle ultime commemorazioni di Srebrenica, e un parlamento  serbo riluttante votò a  maggioranza l´annoscorso una dichiarazione  che, curando di non nominare  il genocidio – sancito definitivamente dal  Tribunale dell´Aja – ha  offerto le sue scuse alle vittime.  A  Sarajevo, ieri, il sollievo  amarissimo con cui è stata accolta la  notizia si è accompagnato,  soprattutto nei commenti ufficiali, alla  diffidenza per il momento in  cui è arrivata, vigilia del rapporto del  procuratore capo dell´Aja al  Consiglio di Sicurezza dell´Onu, e  addirittura nel corso della visita di  Catherine Ashton. Si può pensare  che la giustizia sia troppo lenta ad  arrivare. Oppure che sia lenta, ma  arrivi. È quello che hanno sentito  ieri a Sarajevo. Nessuno, nel  momento della caduta, è all'´altezza dei  suoi crimini, delle migliaia di  assassinati, torturati, delle stuprate e  umiliate; e dei salvati,  anche, perché questi granduomini si beano del  potere di vita e di  morte, e ne lasciano andare uno su dieci o su cento,  che sappia di  dovergli la vita. La cattura di Mladic, un pallone  sgonfiato,  restituisce alla gente bosniaca – non ai suoi delinquenti e  ai suoi  fanatici integralisti, che pure ci sono stati, come dovunque –  un  risarcimento morale e civile. Dall´altra parte, contribuisce alla   ricostruzione dell´onore perduto della Serbia. E finalmente, verrebbe da dire, per finire bene, riconosce all´Europa, e alle
severe condizioni   che ha dettato alla Serbia, il merito di aver ottenuto giustizia. Solo che. Solo che l´Europa e le sue condizioni – più rigorosa di tutti, nell´esigerle, l´Olanda, e si capisce – lasciò che violenza, infamia e   atrocità venissero perpetrate, e non di rado le fomentò e le secondò,  per interesse o per viltà, e il fatto che avvenissero nei famigerati  "Balcani" e che la Jugoslavia non appartenesse formalmente all´Unione europea non toglieva che fosse Europa
anche quella di Sarajevo, così vicina, e così pulsante della stessa storia.  È difficile chiamare   francamente la cattura di Mladic come un successo dell´Europa: è più  vero che essa ne attenua la macchia. Proprio in questi giorni l´Europa, e l´Occidente intero, devono chiedersi drammaticamente a che cosa possa   approdare il loro intervento, e dunque se e come e quando vada condotto.  La vicissitudine della ex Jugoslavia, e la voragine di  Srebrenica,  rispondono all'interrogativo opposto: che cosa succede  quando si ometta  intervento e soccorso. Quando una telefonata in  partenza da Potocari non  viene inoltrata dal comando di Sarajevo al  comandante generale francese  della missione, e poi il comando generale  non autorizza il decollo  degli aerei, e poi lo autorizza ma gli aerei  hanno dovuto tornare  indietro perché avevano esaurito i rifornimenti, e  quando si alzano sono  troppo pochi e su una rotta imprecisa – storie  come queste, e ancora  più ridicole, raccontano le solenni commissioni  d´inchiesta sui cinque  giorni del genocidio di Srebrenica. Infine,  la notizia di Sarajevo  dev´essere arrivata anche ai bambini. Spiegò  Irfanka Pasagic, che si  occupa del dolore dei superstiti: «Spesso  diciamo che i bambini sono il  nostro futuro. Io dico che siamo noi il  loro futuro. Se centinaia di  migliaia di bambini della Bosnia  Erzegovina cresceranno nella  convinzione che i criminali possano  restare impuniti e che la sofferenza  che hanno subito non meriti una  condanna, distruggeremo il loro  futuro». Ecco, mi sono chiesto se il  bambino dalla faccia frastornata  spinto fuori dalla fila del mattatoio  perché il gran generale Ratko  Mladic (il "Dio serbo") gli desse un  buffetto davanti alle sue  telecamere prima che facesse buio, sia vivo, e abbia sentito la notizia ieri.

La Repubblica 27.05.2011