Siamo tornati al 1977.
Gli ultimi dati Istat sulla disoccupazione (usciti ieri 1 luglio) in Italia ci dicono che i senza lavoro sono a quota 3 milioni 140mila, il 12,2%, una cifra che non si ripeteva da 36 anni a questa parte.
Ridurre i posti di lavoro significa ridurre la massa salariale, con effetti nefasti sui consumi e sul tenore di vita delle famiglie.
Oggi salari e stipendi sono in perdita rispetto all’inflazione e questo si ripete da almeno vent’anni.
Stiamo scoprendo che si può essere poveri anche avendo un lavoro, perché sottopagati e precari non vengono pagati il giusto.
Oltre ai “working poors” (poveri pur avendo un lavoro), vi sono i “neo-umiliati”, vale a dire coloro che hanno una laurea e anche un master, che svolgono lavori di tipo tecnico e intellettuale (professionisti, giornalisti, consulenti), ma che sono pagati meno di uno sguattero.
Che fare? Come uscire da questa situazione?
Come spiegano gli autori del libro “Senza Soldi”, Walter Passerini e Mario Vavassori, bisogna intervenire e subito in sette direzioni:
- Frenare l’emorragia di licenziamenti, sviluppando i contratti di solidarietà,
- Intervenire sui redditi più bassi per dare un po’ di ossigeno alle famiglie più povere,
- Abbassare le aliquote del 23% e del 27%, rispettivamente applicate ai redditi fino a 15mila euro e da 15mila a 28mila euro,
- Avviare il processo di riduzione del cuneo fiscale, dando ossigeno anche alle piccole e medie imprese,
- Abbassare i differenziali retributivi tra uomini e donne e tra top manager e dipendenti
- Introdurre un contributo di solidarietà per redditi al di sopra dei 250mila euro.
- Avviare una discussione pubblica sulla possibilità di inserimento in Italia del reddito minimo garantito.
Intervenire subito significa alleviare la situazione di povertà imminente, che colpisce i senza lavoro ma anche chi ha un’occupazione, che si rifletterà non solo sulle famiglie, ma inciderà negativamente sulle prossime pensioni, condannando generazioni di giovani e meno giovani a un futuro da fame.