di Goffredo Fofi
Veniva dal «Marc’Aurelio» e ha evocato il tempo avventuroso di quell’esperienza,tra guerra e Dopoguerra,nel suo ultimo film, dedicato dueanni fa a Fellini (Che strano chiamarsi Federico) dove in realtà Federico era il pretesto per parlare anche di sé e della propria gioventù, nel comune apprendistato. Prima le vignette, glisketch e poi le gag per i film comici del Dopoguerra (per Totò, per Tino Scotti, per il primo Sordi e altri), le sceneggiature scritte in coppia con Ruggero Maccari, e poi le prime faticate regie dal ’64 in avanti, cercando una propria cifra nel grande filone della commedia all’italiana, ben oltre il comico.
Toccato dal ’68, ma in linea con la politica culturale delle Botteghe Oscure, tentò provvisoriamente anche il cinema militante: Trevico-Torino, confronto tra una militante di Lotta continua e un giovane operaio meridionale nella Torino della Fiat, risolto nei modi a lui più congeniali della commedia all’italiana, con un po’ dipolitica e un po’ di sentimento. Ma era stato con Age e Scarpelli che, mettendoci però del suo, aveva diretto il suo primo vero successo, Dramma della gelosia (1970) con la complicità di due dei “colonnelli” della commedia, Mastroianni e la Vitti (assiemea Sordi, Gassman, Tognazzi, Manfredi) girò i suoi capolavori corali, C’eravamo tanto amati, La terrazza e La famiglia, che resteranno documenti importanti di storia dell’Italia e dei suoi costumi, il secondo dei quali un eccezionale documento dell’antropologia del gruppo dirigente comunista...
Il miglior film di Scola resta però Una giornata particolare, che offrì tra l’altro il suo miglior ruolo in assoluto a Sophia Loren e fu un film dove sceneggiatura e regia si fusero perfettamente con l’apporto diuna grande squadra di tecnici nel racconto di una giornata particolare del ventennio fascista, il giorno in cui venne in visita molto ufficiale a Roma il dittatore tedesco.
Molti altri film ha girato Scola dopo di allora (1977) solo a sprazzi ritrovando la misura elo spessore di quelli, soffrendo delle mutazioni del Paese, e in qualche modo anche di quelle della sinistra, perché la crisi del partito comunista e di quello socialista e i loro annaspamenti finirono per travolgere anchei loro alleati, sbandandoli o trincerandol inella difesa corporativa del “mondo del cinema”, da sempre quasi solo romano secondo gli ideali centralisti del Pci.
Scola fu, con Maselli, uno dei principali artefici di quella politica, più chiusa che aperta nei confronti di una crisi che ha colpito soprattutto il cinema più tradizionale e condizionato dal mercato, per l’appunto romano. È bene dunque ricordare Scola per i suoi anni d’oro, che non sono soltanto quelli dei suoi film migliori e più noti ma anche quelli del suo lungo apprendistato,di un cinema popolare allegro e vitale epiù artigianale che industriale, picaresco nelle lavorazioni e autoironico nei testi, mai pretenziosoe sempre in dialogo stretto con un popolo ancora in gran parte di proletari e analfabeti.
Il nome di Scola va messo accanto, dunque, non solo a quello di Fellini e dei suoi amici umoristi, vignettisti, soggettisti, sceneggiatori, ma anchea quello dei grandi registi della commedia,come Monicelli (per cui scrisse con altri Guardie e ladri) e Risi (per cui scrisse Il sorpasso) e Pietrangeli (La parmigiana). Negli ultimi anni, la crisi della sinistra e la crisi del cinema lo avevano reso, mi pare, un personaggio piuttosto malinconico,che si sentiva superato e che non sembrava capire e accettare la mutazione avvenuta nel suo mondo, anzi nel mondo, ma certamente non era il solo.
La Domenica, supplemento culturale, 24 gennaio 2016