Nuit Debout, l’enigma parigino della democrazia diretta
di Raffaele Simone
In poche settimane oltre centomila francesi si trovano in piazza per discutere di politica, ora che hanno cacciato il filosofo Finkielkraut a fischi e sputi tutti ne parlano. Il loro programma è confuso, ma la forza sorprendente.
In fondo, al movimento francese Nuit debout (“notte in piedi”, cioè svegli) ha fatto comodo che il filosofo Alain Finkielkraut, che l’altra sera s’era inserito nella manifestazione a Place de la République a Parigi, ne sia stato cacciato a fischi e sputi con l’accusa di essere un fascista. In questo modo, la presenza del movimento è diventata un tema di discussione in tutta la Francia e un interrogativo anche altrove. Si tratta infatti di una nuova espressione, a prima vista molto vitale ed energica, dell’i m p azienza verso la politica istituzionale. Ma non si tratta di un movimento qualunque.
È RIUSCITO in poche settimane (è nato con una manifestazione del 17 marzo) ad aggregare un centinaio di migliaia di persone a Parigi e poi in varie altre città francesi. I centomila del primo incontro sono diventati quasi mezzo milione al secondo. Anche gli obiettivi si sono velocemente ampliati. All’inizio era la protesta contro la legge sul lavoro (la cosiddetta legge El Khomri), abbastanza somigliante a quella italiana. Le rivendicazioni si sono fatte poi più globali e piuttosto contundenti: distruzione dell’e c onomia capitalistica, sviluppo dell’agricoltura biologica, democrazia per sorteggio, accoglienza degli immigrati, riduzione degli alti redditi, ma anche lotta all’ “oppressione israeliana”… Dalla prima manifestazione è sorto rapidamente un movimento con tanto di “gruppo di pilotaggio” di una quindicina di persone, che ha organizzato una serie di incontri notturni, tutti in Place de la République, già teatro delle grandi manif in risposta agli attentati terroristici.
È difficile dire se le rivendicazioni di cui sopra siano solo (come pensa Elisabeth Lévy di Le Point, direttrice di Le Causeur, pungente periodico online non certo di destra) le solite “ubbie dei gauchistes estremi” oppure il preannuncio di un programma politico.
Nel frattempo, il movimento, tra le proteste dei residenti che hanno perduto il sonno e il sostegno dell’ex-ministro greco Yanis Varoufakis, sta creando alla svelta le sue regole e organizzando la sua comunicazione. Per esempio, ha aperto un sito web e un profilo Facebook e pubblicato a tamburo battente una dettagliatissima voce su Wikipedia. Ha poi inventato dei ‘po - li’, cioè dei settori di servizio, a cui con qualche malizia ha dato etichette oscillanti tra le fantasie onomastiche della Rivoluzione e la Fattoria degli animali orwelliana: polo serenità (sic), polo moderazione (sic), polo accoglienza, polo mensa…
Ha redatto una specie di galateo in cui si mescolano moderazione e estremismo: nelle assemblee generali ognuno parla per cinque minuti, ma ci si può spingere sino “alla provocazione”; non si accettano discorsi razzisti, sessisti e omofobici, ma sulla globalizzazione e le banche si può anche essere violenti. Però non si può togliere il microfono a chi sta parlando o intimare a qualcuno di tacere. Ha creato perfino un codice gestuale: nelle assemblee generali, il disaccordo si esprime mettendo le braccia conserte.
ANCHE I METODI, che pure si dichiarano pacifici, non sono proprio gentili, ma hanno una creatività tra situazionismo e dadaismo: occupare le piazze di notte, bloccare le istituzioni, e perfino (senza successo) organizzare un aperitivo a casa del primo ministro Manuel Valls. Il movimento dichiara di essere orizzontale e di non volere capi, sicché i suoi promotori sono solo addetti al “pilotaggio”. Organizza incontri con studenti, operai, precari, disoccupati, universitari, migranti, cioè con gli svantaggiati e i “dannati della terra”. Pubblica mozioni, aspira alla democrazia “diretta e partecipativa”.
Agli italiani parecchi di questi motivi danno una forte impressione di déjà-vu. Ma la Francia non è l’Italia: le insurrezioni sono un tratto distintivo della sua storia e non per caso i partecipanti alle assemblee notturne chiamano sé stessi “insort i” (révoltés). Inoltre parecchie delle sue manifestazioni di piazza, di sinistra come di destra, hanno prodotto effetti pesanti. Senza scomodare la Rivoluzione, basta pensare al Maggio ’68 e più di recente ai cortei Manif pour touso alle tenaci sfilate di protesta degli insegnanti maltrattati dalle riforme della scuola della ministra Vallaud-Belkacem.
I MEDIA SONO DIVISI. All’entusiasmo di L i b é r a t i o n risponde la perplessità di chi, come Elisabeth Lévy, teme una deriva antisemita e ritiene che alla base di tutto ci sia solo de ll’odio. Le Monde si tiene nel mezzo, additando la curiosa mescolanza di pacifismo un po’ affettato e dirigismo autoritario. Ma la politica ufficiale è parecchio preoccupata. Al sostegno esitante della sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, fanno contrasto le inquietudini dei sarkozisti, timorosi che la coincidenza tra queste manifestazioni e lo stato di emergenza che vige nel paese possa produrre danni. Sanno tutti che in Spagna Podemos è nato dal distillarsi dei motivi degli Indignados e che l’istanza mitica della democrazia diretta, come slogan aggregante, ha una forte presa. Temono che il movimento possa diventare un partito prima delle presidenziali del 2017 e risolvere con uno scossone l’incertezza tra partito socialista e Les Républicains di Sarkozy. Senza dire che questi movimenti, come si vide nel ’68, dilagano facilmente oltre i confini.
Il Fatto Quotidiano 25 aprile 2015