DA ALEX SI PUO’ RIPARTIRE
di Goffredo Fofi
Sono passati molti anni e la figura di Alex Langer è cresciuta nella mia memoria e, credo, nella memoria di tanti, per l’originalità della sua vicenda umana e politica e non solo per la sua tragica fine, ma è cresciuta anche per l’istintivo confronto con altri membri della sua generazione, con leader e con i militanti dei suoi anni. In breve: dalle sue pratiche e dai suoi scritti è possibile imparare qualcosa, anzi molto, moltissimo; dalla figura degli altri molto meno, spesso niente, o anche ciò che non bisogna fare o diventare. E grande è il rimpianto per non essergli stato più vicino, per non aver saputo profittare abbastanza della sua amicizia e diversità, per non aver ragionato a fondo già allora, mentre la battaglia era in corso, su ciò che faceva e diceva.
Succede certamente lo stesso per le tante occasioni mancate della nostra vita, e mai mi darò pace per non aver saputo profittare abbastanza della vicinanza e dell’amicizia di personaggi che sono stati per me fondamentali, affettivamente o culturalmente, fossero essi molto noti o del tutto sconosciuti ai più. E della vicinanza e dell’amicizia di Alex, di Mauro (Rostagno, di Luca (Rastello), e di alcuni vecchi militanti delle generazioni precedenti le loro, venute prima della mia e di quelle del ’68 e del ’77. Dopo le loro, c’è stata e c’è ancora una lunga stasi, la lenta o rapida corruzione delle menti la trasformazione delle pratiche sociali lontano dalle spinte delle esigenze collettive degli anni di Berlusconi e della morte per insipienza e/o mascalzonaggine della sinistra. C’è stata una mutazione profondissima, radicale, nella natura della società e della storia, nei modi d’agire del potere, nei modi di vivere e di pensare di una collettività da cui sono stati espunti operai, contadini, artigiani mentre tutto si faceva terziario e “comunicazione” la grande truffa della cultura che fa tutti illusi di pensare nel mentre che si pensa ciò che il potere vuole ciò che si pensi, che insomma si pensi e si agisca di conseguenza ma si consumino come merci non differenti dalle altre le idee e i modelli di comportamento che ci sono ossessivamente proposti lasciandoci bensì nell’illusione di essere unici e originali e autonomi, addirittura ”individui”. I vecchi leader, le vecchie figure di spicco della militanza degli anni sessanta e settanta hanno cercato e in parte -i più abili- hanno trovato un proprio spazio, non sempre onorevole, all’interno del nuovo sistema di potere mantenendo un nome di qualche fama e i privilegi connessi a questo, credo nella piena coscienza delle proprie scelte. Gli altri sono tornati, come succede dopo ogni sommovimento collettivo, al loro privato, da sconfitti, ma, anche loro da nuovi conformisti, da consenzienti, da “accettanti”. Più o meno vili, anche se ciascuno dice alla sua coscienza di avere ragioni e giustificazioni. […]
Il quadro era questo, negli anni di Alex, e a esso si aggiungeva la difficoltà – enorme! – di muoversi, nella volontà di essere “costruttori di pace” e di ponti, tra le opposte forze che andavano massacrando e massacrandosi nella ex Jugoslavia, la difficoltà che molti, allora e altrove, hanno purtroppo sperimentato tra una scelta di nonviolenza e la feroce presenza di una violenza fanatica rispetto alla quale le “armi” della prima mostravano la loro estrema fragilità.
Il quadro era questo, e a esso si aggiungevano in sovrappiù le difficoltà del “far politica in modo nuovo” nel concreto della sua regione e delle sue due “nazioni”, nel Sudtirolo e Trentino/Alto Adige a cavallo tra Germania e Italia, per lo più da “verde” persuaso e conseguente. E si aggiungevano certamente, bisogna pur tenerne conto, le difficoltà personali di un “privato” tormentato dal “pubblico”. Ciò nonostante, Alex è riuscito, almeno fino al momento dell’estrema decisione di abbandono, a incarnare il meglio della sua generazione, e di altre ancora prima e dopo la sua… A stare nel tempo in modo attivo e cosciente, assumendosi le responsabilità che una iniziale scelta di collocazione e di azione gli imponeva: “fa quel che devi, accada quel che può”, come gli avevano indicato i Maestri e gli indicava la sua morale. Diciamolo, e amaramente constatiamolo: dopo il ’77 la parola “Super-Io”, in rapporto ai modi di far politica degli ex-militanti e dei nuovi aspiranti o arrampicatori non ha avuto un gran corso, e non ha avuto un gran corso neanche tra le masse di ex e di nuovi che hanno scelto tra le poche strade che venivano consentite quelle di “fare cultura” nei campi universitario, giornalistico e artistico. Le cose sono andate un po' meglio, ma non tanto e non per molto, tra chi ha scelto di farsi educatore o operatore sociale, prigionieri gli uni dell’ipocrisia di una corporazione interna a un sistema, la scuola, in via di disfacimento e incapaci di porsi difficili compiti e rischi inerenti all’insegnamento del giusto, del bello e del vero; mentre i “volontari” del sociale si finivano quasi per forza nella lotta per la sopravvivenza loro e di ogni piccola organizzazione nella crisi e fine del welfare.
Tutto è cambiato, e il potere è più che mai nelle mani di pochi, che sanno bene come conquistare il consenso, di nome e di fatto, alle loro scelte. Nel nuovo corso, nella nuova società, il “modello Alex” resta tra i più attuali per la sua pervicacia e ostinazione di “persuaso”, ma tra o più difficili, oggi, da seguire, perché è la paura del rischio a spaventare i più, e l’egocentrismo ed egoismo a trattenere coloro che intendono porsi come modelli per altri, sia i pochi (almeno in Europa) predicatori di violenza che i tanti per i quali la nonviolenza ha finito per escludere la sua diretta espressione politica, la disobbedienza civile, e sia loro che i piccoli e ambiziosi nuovi “pilastri” intellettuali gratificati da una mortifera società.
Non sono molti, o quantomeno non si palesano e non dimostrano, i giovani e i meno giovani, che perseguono oggi gli ideali di una società migliore in un’epoca che si è fatta, se possibile, infinitamente povera di speranze, e a confronto col passato letteralmente disperata anche quando finge di non esserlo. Ma forse è sempre stata questione di pochi e probabilmente anche le generazioni del ’68 e del ’77 erano a loro modo conformiste, seguivano una moda, seguivano una moda piuttosto che essere convinte in profondità della necessità di mettersi in gioco lottando per un mondo migliore, sulla base di idee e convinzioni morali profonde. C’è ancora qualcuno che crede oggi alla possibilità di “un mondo migliore?”. O che crede comunque necessario lottare per un mondo migliore anche se le possibilità di vittoria sono minime o nulle? Che crede ancora che l’uomo debba distinguersi per le sue possibilità e capacità di scegliere il bene e di lottare per la sua affermazione? Le vittorie oggi possibili sono minime, almeno in paesi come il nostro, e in qualche modo pur sempre a vantaggio di pochi, di chi comanda e di chi, in ogni caso, accetta delle regole del gioco pesantemente, radicalmente truccate
Il “modello Alex”, con le sue convinzioni e le sue aperture, con il suo sforzo di rendere attive le idee, di metterle in pratica, di dimostrarle, di viverle, non è però modello irraggiungibile, poiché Alex non era un super-eroe ma uno come noi che semplicemente ha osato di più e che, per quel che riguarda la sua eredità, ha cercato di introdurre nella politica la morale come pochi, anzi pochissimi, hanno cercato di fare. Ha capito di più e ha osato di più perché non perseguiva, con qualche mascheramento, una soddisfazione personale ma un’esigenza morale che era l contempo politica: un’idealità politica semplice e alta, non ideologica, concreta, fraterna e solidale in un mondo dove la politica, continuava ad essere – anche tra i suoi amici e vicini – soffocata da ambiguità e da finzioni. Per quanto difficile da seguire, il suo è probabilmente l’unico esempio “sostenibile” di intervento politico individuale, ma anche di gruppo, anche collettivo, nella società italiana del dopo-Sessantotto; l’unico ad avere avuto un profondo carattere di novità, insieme ad alcune iniziative dei radicali. Perfettamente rintracciabile nei suoi scritti, è questo il lascito migliore di una generazione che è stata sconfitta dalla prepotenza delle forze avverse ma anche, in parte – ed è difficile dimostrarlo – dalla sua debolezza nel saper coniugare etica e politica. Dunque: da Alex c’è da imparare, da Alex si può ripartire.
Da Alex si può ripartire di Goffredo Fofi, introduzione al libro di Alexander Langer “FARE LA PACE” edito da CIERRE, Verona, 2017