A Quarantanni dalla morte dello psichiatra che rivoluzionò la vita dei malati di mente
di Franco Rotelli*
L’unica legge che porta il nome di un uomo che non è mai stato in Parlamento. La politica non ha raccolto il testimone, restano invece i tanti “piccoli Basaglia”.
Non so quante altre leggi portino il nome di una persona che in Parlamento non c’è mai stata.
Temo che se la legge 180 del 1978 che ha portato alla chiusura dei manicomi in Italia porta il nome di legge Basaglia questo corrisponda anche al fatto che nessun politico ne ha mai rivendicato la paternità. Né allora né soprattutto poi.
LA GRANDE BATTAGLIA che l’uomo di cui ricordiamo i quarant’anni dalla morte (quando aveva solo 57 anni) ha condotto, prima da Gorizia negli anni Sessanta, poi da Trieste nei Settanta, si è giocata su due fronti: le imprescindibili pratiche concrete di cambiamento a livello locale (nei fatti) e la formidabile campagna culturale con l’aiuto di grandi fotografi, artisti, potenza mediatica e libri di singolare successo.
Le lotte sociali di quegli anni accompagnavano la lucida critica radicale a tutte le istituzioni totali di cui il manicomio rappresentava forse la forma più caricaturale. Alla fine degli anni Cinquanta c’erano centomila persone nei manicomi italiani. La cultura di questo Paese registrò un cambia mento reale. Ma se poi non riusciamo a citare il nome di alcun presidente di Regione che in questi decenni si sia segnalato per l’attenzione nell’organizzazione di politiche e di servizi per la salute mentale, registrare tutte le inadempienze nell’implementazione di quella legge è conseguenza inevitabile.
Tuttavia tanti piccoli Basaglia, in tanti luoghi di questo strano Paese, sono stati comunque capaci “nell’evidente povertà dei mezzi”, di salvaguardare parte rilevante di una riforma epocale. E comunque i manicomi non ci sono più. Si sa, mancano servizi, altri sono ancora contenitivi, a volte stupidamente violenti, troppo spesso difensivi, erogatori di farmaci e null’altro. Residenze costose, inefficaci e affollate rispondono alla orrenda domanda: “Dove lo metto?” invece di quella dovuta: “Cosa facciamo con lei/lui?”.
Altrove, poi, l’abbandono. Passare dalla psichiatria a vere politiche di salute mentale è un lungo e difficile percorso, tuttavia in atto in vari luoghi. Basaglia ci ha insegnato che “la libertà è terapeutica” e per fortuna un certo numero di noi ha assunto fino in fondo la responsabilità di dimostrarlo e di saper proteggere le persone dentro questo percorso.
OGGI CHIEDIAMO al governo, che sembra voler riprendere il cammino di una sanità territoriale vera, di capire che la Salute Mentale è un grande tema su cui coinvolgere molte forze, dentro un nuovo Welfare di Comunità e politiche sociosanitarie integrate che non lascino la vita delle persone nelle sole mani delle psichiatrie.
La drammatica denuncia di Basaglia su cosa fu la psichiatria lasciata a sé non ha perso il suo valore oggi. Le politiche di esclusione avevano trovato una grande barriera critica. Occorre rinnovarne la forza, oggi che tutti ammettono che siamo tutti nella stessa barca e che “o ne usciamo insieme o non ne usciamo”. Lui ha cominciato a dircelo sessanta anni fa, a partire da ciò che stava addirittura oltre il margine. E che si è stati capaci di riportare dentro.
Un’eredità troppo preziosa, che ci consente di continuare a interrogarci su molte questioni e ci impedisce di chiudere gli occhi e di annullare l'altro, chiunque egli sia.
*Psichiatra, protagonista con Basaglia della riforma e suo successore all’ospedale psichiatrico di Trieste dal 1979 al 1995
Il Fatto Quotidiano 29 agosto 2020