"Re Nudo": la rivista che ha fissato il sesso, i suoni e la politica degli anni Settanta

di Maurizio Di Fazio

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“Re Nudo nasce nell'ambito di una società di mutuo soccorso, per riportarci a pensare che stiamo sbagliando direzione, che è necessario riconnetterci con noi stessi. E questa non è fantasia, non è esoterismo: è saggezza ”scrisse Fabrizio De André, uno dei tanti illustri compagni di viaggio del“ primo giornale rivoluzionario a colori ”di cui esce, il 26 novembre, un'antologia esauriente. 

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Mezzo secolo dopo il debutto della rivista che ha illuminato a giorno la controcultura e il pensiero alternativo post-sessantottino. Centrale, a modo suo, nei tumultuosi e magmatici anni settanta, di cui è stata un gioioso contravveleno stampato. Piombo buono e creativo contro quello delle P38. 406 pagine selezionate dal fondatore Andrea Majid Valcarenghi: “Majid” perché lui, come tanti, in pieno 1977, annus mirabilis e horribilis del movimento e dell'autonomia, si rifugiò in India folgorato sulla via di Osho, l'originale, di cui divenne persino ambasciatore al suo rientro in Italia. Dentro il volume, edito da Interno 4 Edizioni, trovate un “reader's digest” dei suoi articoli, con perle epocali come le interviste a William Burroughs e Allen Ginsberg e la stratificazione di testimonianze, per dirne qualcuno, di Enzo Jannacci e Francesco Guccini.

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Femminismo e outing omosessuale, antiproibizionismo e psichedelia, situazionismo francese e provos olandesi, comuni hippie e ricerca spirituale, culto del tempo libero “liberato” e controinformazione, grande musica internazionale e istanze ecologiste ante litteram. Provocazioni e critica delle istituzioni totali, lotta di classe e fumetti, buddismo e giustizia sociale: quando il privato era politico, ma poteva anche essere un viaggio senza dogmi a mare aperto. Lanciato nella Milano fine sixties, ottenebrata dalla strage di Piazza Fontana, il primo numero di Re Nudo uscì nel novembre del 1970. Il primo fermo biologico di questo mensile eccentrico e anticonformista c'è stato nel 1980: un ciclo, editoriale e generazionale, si era chiuso per sempre. È poi tornato in edicola nel 1996, ma in maniera completamente diversa, ascetica e zen. Restano impressi nell'immaginario collettivo gli eventi pop / rock che il giornale organizzò dal 1971: i cosiddetti festival del proletariato giovanile (il suo parco-lettori di riferimento), happening di massa che trovarono il loro zenit e punto di non ritorno nell'edizione 1976 del parco Lambro a Milano. Altri tempi. Come il loro slogan: “Cambiamo la vita, prima che la vita cambi noi”.