Il balzo della società civile
di Massimo Teodori
Il primo dicembre 1970 fu approvata alla Camera la legge per il divorzio: dopo quattro anni, il 12 maggio 1974, si sarebbe tenuto il referendum abrogativo che la confermò. Il significato del voto parlamentare non fu solo il varo di una legge di interesse generale che non era mai passata nell'ltalia liberale e nel ventennio repubblicano; riguardò anche la conquista di un diritto civile, il primo di una serie che avrebbe poi compreso l'aborto e il nuovo diritto di famiglia, che svelò ai grandi partiti l'esistenza di una società civile ben diversa da quella che essi si rappresentavano.
Il voto finale della Camera a favore del divorzio (386 a 319) che seguì quello del Senato del 9 ottobre (164 a 150) consacrò per la prima volta uno schieramento unitario di Pci, Psi, Psu, Psiup, Pli, Pri e Indipendenti di sinistra, mai verificatosi in passato. La battaglia per il divorzio era cominciata a metà degli anni 60 quando il deputato socialista Loris Fortuna aveva presentato una proposta di legge che sarebbe rimasta negli archivi parlamentari se non fosse nato un movimento, extrapartitico ma non extraistituzionale, animato dai radicali Mauro Mellini e Marco Pannella, da alcuni settori socialisti e dai gruppi liberali vicini all'onorevole Antonio Baslini. La novità fu rappresentata dalla campagna popolare organizzata dalla “Lega per l'istituzione del divorzio” (Lid) che raccolse intorno a sé, oltre a politici e sindacalisti come Giorgio Benvenuto e ad intellettuali quali Adriano Buzzati Traverso e Alessandro Galante Garrone, anche un folto gruppo di donne tra cui la scrittrice Gabriella Parca, l'avvocato Ada Picciotto, le giornaliste Miriam Mafai, Maria Adele Teodori e Luciana Castellina.
Il movimento fu poi energicamente sostenuto dal settimanale popolare “Abc” diretto da Enzo Sabàto che insieme all'”Espresso” di Livio Zanetti portò in piazza migliaia di cosiddetti “fuorilegge del matrimonio” che non si erano mai misurati prima con la politica. Fu proprio quella mobilitazione di massa che indusse i partiti - Psi, Psdi, Pli e Pri - a fare fronte comune in parlamento e a spingere il prudente Pci al voto finale divorzista che sconfisse gli antidivorzisti della Dc e del Msi.
Così, il divorzio diede una scossa “storica” ai vertici del mondo cattolico e del Partito comunista. I democristiani, attestandosi su un compromesso suggerito da Aldo Moro, acconsentirono di far votare la proposta Fortuna-Baslini solo dopo che il Parlamento avesse approvato la legge istitutiva del referendum previsto dall'articolo 75 della Costituzione, cosa che avvenne il 21 maggio 1971 entrata in vigore, un gruppo della destra e sinistra cattolico-tradizionalista - Gabrio Lombardi, Sergio Cotta, Augusto Del Noce, Giorgio la Pira e Luigi Gedda - attivò il referendum abrogativo che si sarebbe tenuto nel maggio 1974. Nella Dc la campagna tradizionalista fu cavalcata dal segretario Amintore Fanfani che contava su una vittoria popolare. Anche la Chiesa scese ufficialmente in campo con la Conferenza episcopale italiana che tentò di esercitare una pressione su Parlamento e governo in nome del Concordato, e poi con lo stesso pontefice Paolo VI che incitò pubblicamente i vescovi a impegnarsi in difesa della famiglia. Dal mondo cattolico, tuttavia, prese le mosse il robusto dissenso dei "Cattolici del No” guidati da Pietro Scoppola, Raniero La Valle, Luigi Pedrazzi, Pierre Carniti, Wladimiro Dorigo, dom Franzoni, alla testa di una campagna favorevole al divorzio.
Anche il vertice del Pci fu colto di sorpresa dall'impatto dell'iniziativa radicale e socialista ma, dopo esitazioni, diede il suo contributo indispensabile per l'approvazione della legge. Quando la destra clericale chiese il referendum abrogativo, la senatrice della sinistra indipendente Tullia Carettoni Romagnoli presentò un disegno di legge per un “piccolo” divorzio che accoglieva alcune richieste democristiane al fine di evitare altri scontri: la proposta fu tuttavia respinta dai laici i quali sospettarono, con le parole di Giovanni Spadolini, che si volesse compiere un passo verso la “repubblica conciliare”. Allora il leader del Pci, Enrico Berlinguer, che mirava al compromesso storico, avversava i socialisti libertari e i radicali democratici che esercitavano un'attrazione sul popolo comunista. Quando, anni dopo, il referendum confermò a maggioranza il divorzio, Pier Palo Pasolini avrebbe scritto «La vittoria del “no” è in realtà una sconfitta non solo di Fanfani e del Vaticano, ma, in un certo senso, anche di Berlinguer e del Partito comunista... che non volevano la guerra di religione.
Nel dicembre 1970 l'Italia si divise tra le forze politiche sostenitrici di una modernità di stile europeo e quelle favorevoli al tradizionalismo cattolico. La conquista di quel diritto civile non fu però l'effetto del"Sessantotto", bensì una felice combinazione dell'azione in Parlamento dei partiti d'opinione e di massa, e di un sommovimento sociale e culturale su un obiettivo istituzionale che coinvolse la galassia dei gruppi femminili e femministi. Alcuni momenti simbolici punteggiarono la campagna divorzista: il primo dicembre 1970, alle 5,45 del mattino, dalla vicina Camera dei deputati giunse alla roulotte della Lid posteggiata in piazza del Pantheon la notizia del voto positivo sulla legge Fortuna-Baslini. Ad acclamarla accanto a Mellini e Pannella c'era Argentina Marchei, un'anziana popolana romana che era stata e in prima fila in tutte le manifestazioni della Lid con il suo cartello “Aspetto da quarant'anni il divorzio”.
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Il Sole 24 ore Domenica 29 novembre 2020