In due anni quasi mille miliardi investiti nella produzione di armi
di Ilaria Solaini
L’appello dell’Alleanza globale delle banche valoriali al termine del vertice annuale: «La finanza non può sostenere l’industria militare, basta investire sulle guerre».
Oltre 959 miliardi di dollari sono stati utilizzati dalle istituzioni finanziarie nel mondo per sostenere la produzione e il commercio di armi. Più della metà dell’investimento totale nell’industria bellica arriva dagli Stati Uniti, mentre 79 miliardi provengono dai primi 10 investitori europei. E ancora, le 15 maggiori banche europee hanno investito in aziende produttrici di armi per un importo pari a 87,72 miliardi di euro.
Sono alcuni dei dati messi in luce nel rapporto “Finanza di pace. Finanza di guerra” commissionato dalla fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e dalla Alleanza globale delle banche valoriali (GABV) e presentato in occasione del 16° incontro annuale delle 71 banche valo-riali che si è svolto per la prima volta in Italia, tra Padova e Milano. Quest’indagine ha esaminato proprio l’esposizione del settore finan-ziario verso la produzione e il commercio di armi utilizzate in conflitti su larga scala: sono state messe a confronto le politiche e le pra- tiche delle banche mainstream con quelle delle banche etiche fondate sui valori. Nel 2023, si legge nel rapporto che la spesa globale per la difesa è cre-sciuta del 9%, per raggiungere la cifra record di 2,2 trilioni di dollari. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institu-te (Sipri), le risorse stanziate dai governi, a livello globale, per le forze armate ammontano a 2.240 miliardi di dollari, pari al 2,2% del Pil mondiale. Le ban-che, come tutto il settore finaniario, tra il 2020 e il 2022, hanno sostenuto l’industria della difesa con almeno 1000 miliardi di dollari, cifra probabilmente sottostimata rispetto alla realtà, perché non esiste un database ufficiale che gli investimenti nel settore degli armamenti.
Lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022 e in Palestina nel 2023 ha fatto salire alle stelle il valore delle azioni delle imprese produttrici di armi: fra i dieci titoli mondiali da oltre 10 miliardi di capitalizzazione che hanno registrato i maggiori progressi da inizio 2024 ci sono il pro-duttore tedesco di munizioni Rheinmetall e il norvegese Kongsberg, specialista di sistemi marittimi e militari. Entrambi i titoli hanno guada-gnato oltre il 40% quest’anno. Non sono molto distanti l’italiana Leonardo (+27%) e la svedese Saab (+30%). Da questi numeri risulta eviden- te che la maggior parte dei fondi finanziari escluda soltanto le armi “controverse”, cioè le mine antiuomo, le bombe a grappolo, le armi chimi-che e biologiche. Questi tipi di armi d’altra parte sono ampiamente vietate da molteplici legislazioni e accordi nazionali o internazionali. Alcu- ni investitori estendono questo divieto anche alle aziende che producono armi nucleari, armi all’uranio impoverito e fosforo bianco, poiché è difficile controllarne l’impatto, soprattutto sui civili.
«Nonostante gli scarsi dati disponibili e la scarsa trasparenza, appare chiaro che il settore finanziario globale è fondamentale nel sostenere la produzione e il commercio di armi, facilitando, per estensione, i conflitti militari» ha spiegato Mauro Meggiolaro che lavora per Merian Research, la società di consulenza, specializzata in temi sociali e ambientali, che ha curato l’indagine per la rete delle banche etiche. «Dai tempi della guerra fredda, mai il mondo aveva assistito a una corsa al riarmo come quella che stiamo vivendo – ha spiegato Anna Fasano, presidente di Banca Etica –. Da ogni parte arrivano spinte per aumentare le spese militari mentre consulenti finanziari in tutto il globo esul-tano per le impennate dei profitti e dei rendimenti registrate negli ultimi mesi dal comparto bellico». Bisogna, però, chiedersi fin dove sia lecito fare profitti con le catastrofi.
A novembre 2023 i ministri della Difesa dell’Ue avevano approvato una dichiarazione congiunta sul rafforzamento dell’accesso dell’industria della difesa ai finanziamenti, in nome della sua presunta capacità di contribuire alla pace, alla stabilità e alla sostenibilità in Europa. Ma che cosa è successo dopo? Che cosa ha provocato quella presa di posizione? Alcune istituzioni finanziarie che avevano escluso gli armamenti dai loro investimenti, hanno deciso di modificare le loro politiche di investimento per accogliere quello sviluppo. Sebbene si tratti di casi isolati, essi dimostrano che l’esclusione delle armi dagli investimenti e dai prestiti non è scontata, nemmeno tra gli investitori sostenibili. «L’illusione che un mondo più armato sarà un mondo più sicuro e più in pace è smentita dai fatti: alla crescita della spesa militare globale ha sempre cor-risposto un aumento dei conflitti» ha continuato la presidente di Banca Etica. Tra le banche che hanno scelto di non finanziare la produzione o il commercio di armi e che si concentrano, intenzionalmente, sul mettere la finanza al servizio di un cambiamento positivo per le persone e per il pianeta, ci sono le 71 banche aderenti alla rete GABV. L’esclusione delle armi dai prestiti, dagli investimenti e dalle attività bancarie in generale, se resa nota, sensibilizza l’opinione pubblica sul fatto che investire in armi non è come investire in un’industria convenzionale, per-ché i cosiddetti “sistemi d’arma” hanno un effetto catastrofico sulle persone, sulla società, sull’economia e sull’ambiente, provocando migliaia di vittime civili e di fatto amplificando le guer-re. Peraltro in questo modo è più difficile per le aziende produttrici di armi acquisire capitali.
La grandezza degli investimenti sulle armi si legge anche nel lavorovoro dell’International Peace Bureau che ha tradotto il costo di specifici armamenti in beni e servizi sanitari. Ad esempio, un aereo caccia F-35 equivale a 3.244 posti letto di terapia intensiva, mentre un sottoma-rino nucleare di classe Virginia costa quanto 9.180 ambulanze. In altre parole, la metà dei fondi stanziati dai governi a livello globale per le forze armate sarebbe sufficiente per fornire assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti del pianeta e per ridurre significativamente le emissioni di gas serra. Il finanziamento dell’industria degli armamenti è in contrasto con qualsiasi definizione di finanza sostenibile, «ed è per questo che il movimento bancario basato sui valori ha scelto di non finanziare le armi – ha fatto appello il direttore generale della Global Alliance for Banking on Values, Martin Rohner –. Chiediamo al settore finanziario di smettere di alimentare la produzione e il commercio di armamenti. E' tempo di trarre profitto dalla pace, non dalla guerra».
Questo manifesto per una finanza di pace da un lato condanna qualsiasi tipo di conflitto, dall’altro chiede agli istituto finanziari di fermare gli investimenti sulla produzione il commercio di armi. «Incoraggiamo le istituzioni a introdurre o ampliare politiche esistenti che limitino il finanziamento all’industria delle armi e chiediamo di divulgarle in modo trasparente» ha concluso la presidente di Banca Etica, unico istituto di credito italiano a far parte dell’Alleanza globale delle banche valoriali.
Avvenire, 29 febbraio 2024