Al Sud l'economia è ancora Cosa loro
di Luca Tescaroli
Nell’ultimo ventennio, lo sviluppo economico in Sicilia, compresso e condizionato dalla presenza mafiosa, non vi è stato. Gli investimenti effettuati non hanno prodotto ricchezza per la collettività e decremento della disoccupazione.
Vi è una ragionevole possibilità che i primi segnali di ripresa economica, dopo la recessione che ha avviluppato l’economia mondiale nell’ultimo quinquennio, possano interessare i territori controllati da Cosa Nostra? Il nodo da sciogliere è se l’imprenditore italiano e straniero continui o meno a percepire insicurezza e pericolosità nell’investire nell’isola, il che è inevitabilmente collegato alle prospettive e alla pericolosità dell’organizzazione mafiosa, che si è certamente affievolita rispetto agli anni Ottanta e Novanta.
In quel lungo lasso di tempo si è assistito ad assassini e a stragi, che hanno prodotto un’interminabile scia di sangue e visto perire innumerevoli rappresentanti delle istituzioni. Correlativamente, vi è stata un’attenzione mediatica di straordinaria intensità che ha avuto il merito di far capire la notevole pericolosità di Cosa Nostra e che si iniziasse a contrastarla seriamente. Nel corso della metà degli anni Novanta, il sodalizio e le sue macabre gesta erano divenute note a livello internazionale, tanto da indurre molti stranieri a identificare il nostro Paese e gli italiani con i mafiosi. La repressione nell’ultimo ventennio è stata e continua a essere estremamente incisiva, come pure apprezzabile è stata la reazione e le iniziative della società civile, di associazioni e comitati antimafia e di più rappresentanti delle istituzioni, che hanno contribuito a creare un apparato normativo estremamente efficace. Tali risultati possono considerarsi sufficienti per stendere le basi dell’avvio dello sviluppo economico concreto e per considerare lo Stato un sufficiente garante?
Temo di no, perché vi sono segnali esterni preoccupanti. Innanzitutto, sul versante giudiziario, Cosa Nostra, dotata di una struttura pulviscolare e non più unitaria, mostra una continua attitudine a ricostruire le sue articolazioni (mandamenti e famiglie), a gestire le estorsioni sul territorio, a organizzare il traffico di droga; i capi storici in carcere vengono rimpiazzati dai gregari, come dimostrano le più recenti operazioni di polizia. Si registra, poi, un ritorno in libertà di vari personaggi accusati di essere mafiosi, scarcerati per vizi formali (come Rosario Pizzuto, Pietro Lo Iacono, Massimiliano Ingarao, Giovanni Nicoletti, Giuseppe Fiore, Alessandro Costa), o di molti altri condannati in modo definitivo per il delitto di associazione di tipo mafioso per aver espiato la pena. Basti pensare a Girolamo Biondino, Giuseppe Biondino, Giuseppe Guttadauro, Pietro Tagliavia, Giovanni Asciutto, Alessandro D’Ambrogio, Enzo Di Maio, Gaetano Badagliacca, i Sansone della famiglia di Uditore.
Il fatto che costoro possano passeggiare in quelle stesse vie dove avevano esercitato il loro potere determina un disorientamento da parte dei cittadini, una perdita di credibilità dello Stato ai loro occhi e una caduta di garanzie per la collettività. V’è da dire che il reato di associazione di tipo mafioso ha perduto la sua capacità deterrente, sebbene nel 2008 le sanzioni edittali siano state innalzate. La possibilità di far ricorso al rito abbreviato offre il vantaggio della riduzione di un terzo di pena, in caso di condanna. A ciò si aggiunga che, in sede di esecuzione della pena, viene applicato anche ai mafiosi, che diano prova di partecipazione all'opera di rieducazione, l’istituto premiale della liberazione anticipata. Ciò significa che per ogni anno di pena scontata il mafioso può fruire di un abbuono di 3 mesi; un bonus, un premio di buona condotta. L’applicazione congiunta del rito abbreviato e della liberazione anticipata consente di scontare la pena in tempi brevi e un troppo rapido ritorno in libertà, con la conseguente concessione di una patente di impunità al sodale da parte dello Stato. Si aggiunga, poi, che estremamente difficile risulta arrestare e far condannare un appartenente al sodalizio mafioso una seconda volta, perché si possono utilizzare esclusivamente gli elementi di prova raccolti dopo l’epoca del commesso reato in relazione al quale si è formato il giudicato. Quand’anche si riesca nell’intento, la pena verrà applicata in continuazione alla precedente già inflitta, con la conseguenza che la stessa sarà davvero minimale, in considerazione dell’apposito criterio previsto dall'istituto della continuazione.
Sul versante mediatico si assiste a un crescente silenzio, a livello nazionale, sulle attività criminali dell’organizzazione, rotto quasi esclusivamente dalle notizie relative a quei processi che coinvolgono appartenenti alle istituzioni. Sul terreno propriamente economico, dinanzi alla cronica assenza di infrastrutture e alla debolezza strutturale, non pare che le aziende investano in Sicilia, che la produzione e gli ordini all’industria si incrementino. Sul piano culturale sussiste un ostacolo rappresentato dal grumo culturale che si snoda attorno alla convinzione che la mafia è garanzia di equilibrio e sviluppo economico, producendo ricchezza e occupazione attraverso le imprese alla stessa riconducibile, che, nonostante le due recessioni economiche intervenute nell’ultimo quinquennio, continuano a moltiplicare i loro affari. Non resta che augurarsi l’avvento di una nuova classe dirigente che sappia farsi carico dei necessari interventi per assicurare uno sviluppo vero.
Il Fatto Quotidiano 22.08.2013