Altamura la Leonessa di Puglia

di Giuseppe Dambrosio

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Esattamente il 1 febbraio del 1799 iniziava  ad Altamura l’esaltante esperienza rivoluzionaria di segno repubblicano che interessò, con la stessa intensità, pochi altri centri del Regno di Napoli. Altamura, nei 100 giorni di autogoverno, non ebbe esitazione a far propri gli ideali della Rivoluzione Francese (libertà, fraternità ed uguaglianza) e a sperimentare nuove forme di partecipazione e organizzazione politica. Lo schieramento composito dei protagonisti (nobili, clero, intellettuali, borghesi, lavoratori, portatori di interessi diversi e contrapposti) trovò un momento di unità nel difendere la cosa più cara che li accomunava: l’indipendenza economica e politica della “propria” città.

 I conflitti che si trascinavano da tempo per il controllo dell’amministrazione della “università” (comune) tra vecchi e nuovi nobili e tra nobili e “civili” segnarono il passo di fronte al progetto politico controrivoluzionario del Cardinale Ruffo, che intendeva dare una lezione esemplare agli altamurani, che avevano osato, in modo così ostinato, abbattere la monarchia. Fu questa la peculiare specificità che caratterizzò gli eventi del 1799 ad Altamura e in pochissimi altri centri in Terra di Bari (Acquaviva e Martina Franca per citarne alcuni). Lo storico pugliese Antonio Lucarelli - autore di uno splendido saggio “La Puglia nel 1799”- circoscriveva l’area interessata alla vecchia e gloriosa Peucezia. Altrove, per una diversa conformazione delle strutture economico-sociali, dei poteri pubblici e privati, trionfò il lealismo borbonico.

Ma quali mutamenti economici e sociali avevano interessato Altamura nel settecento che favorirono  lo scoppio della rivoluzione politica del 1799?

Altamura era un grosso centro in Terra di Bari; contava, a metà settecento, più di 15.000 abitanti, che nel 1792 divennero 17.000. Era un comune ricco. Nel suo agro, il più ampio demanio della Terra di Bari, la  produzione trainante era quella dei cereali, che esportava nel regno di Napoli attraverso l’Adriatico e il porto di Taranto. Fiore all’occhiello era la Fiera di San Marco, che si teneva in aprile in netta concorrenza con quella di S. Giorgio di Gravina e di S. Leo di Bitonto.

L’asse portante dell’economia agricola altamurana era rappresentato dalla masseria di piccole e medie dimensioni, unità produttiva nella quale si integravano felicemente la produzione cerealicola e l’allevamento del bestiame che attirava, nei periodi della semina e del raccolto, lavoratori stagionali locali e forestieri provenienti dal circondario. I proprietari terrieri garantivano una gestione oculata come dimostrano i rapporti commerciali che si erano rafforzati nel tempo con la capitale del Regno Napoli. Fondamentale il ruolo degli “ammassari” che, autonomamente o in qualità di dipendenti, dirigevano le diverse attività della masseria. A completare il quadro un settore medio composto di artigiani e professionisti intraprendenti e, infine, il ruolo dei lavoratori agricoli (bracciali). Questi ultimi vivevano dignitosamente ed integravano il frutto dei loro piccoli possedimenti con il lavoro alle dipendenze dei grossi proprietari con i quali non avevano rapporti conflittuali. Anche la struttura familiare era funzionale ad un modello produttivo che basava la sua fortuna sulla facilità nel reperire  terreni, sulla loro messa a coltura, sui sistemi di coltivazione adottati e sull’incremento della produzione. E’ pressoché scontato il coinvolgimento nelle attività agricole anche delle donne e dei bambini al di sotto dei 14 anni. Ne viene fuori non il solito quadro di una realtà del mezzogiorno povero ed arretrato in cui i nobili avevano un dominio assoluto ed incontrastato, ma un equilibrato sistema economico, sociale, finanziario e produttivo con enormi potenzialità di sviluppo che, purtroppo, non ebbero completa attuazione. Nel periodo napoleonico vi fu una vertiginosa caduta delle esportazioni di cereali dovuta alla concorrenza del grano che proveniva dall’Europa nord-orientale (Russia, Polonia, Ungheria)

La situazione prima descritta fu preparata da un clima culturale molto intenso. Nella provincia arrivò l’eco riformatore che aveva investito la capitale Napoli. Il pensiero di Antonio Genovesi, fautore di una nuova politica economica da sperimentare nel Regno, trovò terreno fertile presso intellettuali pugliesi come il Palmieri. Nacquero, in questo contesto, le accademie, luoghi di discussione e di confronto tra intellettuali, ceti nobili e borghesi. La Puglia diventò il laboratorio ove sperimentare nuovi modi di produrre. In Altamura si fondò nel 1748, ad opera dell’arciprete della chiesa palatina Marcello Papiniano Cusani, una libera università degli studi con un corpo docente di formazione spiccatamente laica nella quale, accanto a discipline umanistiche, si studiavano quelle giuridiche, mediche  a cui si affiancarono,in seguito, i principi delle scienze matematiche, chimica, botanica in rapporto soprattutto all’agricoltura, come volle l’arciprete De Gemmis, arcidiacono di Terlizzi, sensibile all’insegnamento genovesiano, sotto il quale l’istituto raggiunse il massimo splendore. La massoneria fu il volano delle idee rivoluzionarie ed una sede molto vivace si costituì ad Altamura insieme a quelle di Acquaviva, Bari, Martina Franca, Lecce, Gallipoli.

La breve esperienza repubblicana ad Altamura, come quella partenopea, venne repressa nel sangue. Ai primi di maggio, il cardinal Ruffo penetra in Puglia dopo aver attraversato la Calabria e la Basilicata. Il suo obiettivo era quello di ricongiungersi alle armate russe e turche in Terra d’Otranto e di ristabilire a tutti i costi in Puglia il dominio borbonico. Gli altamurani resistettero con eroismo e, dopo una difesa disperata, la città venne espugnata e saccheggiata dalla truppe sanfediste del cardinale la notte tra il 9 e il 10 maggio del 1799.  Nella notizia ministeriale data dal quartier generale in Altamura il 16 maggio 1799 così si legge: “Altamura quella forte, e ben munita Città, che credendosi insuperabile aveva disprezzati gl’inviti di dover ritornare all’ubbidienza del Re, malgrado l’ostinata sua resistenza, fu nel giorno di venerdì prossimo scorso dieci andante maggio, mercé il valore delle invincibili nostre truppe, presa per assalto e saccheggiata”.

Quei tragici eventi rimangono tra le pagine più importanti della resistenza repubblicana nelle province del Regno di Napoli. L’antico splendore della città era stato intaccato sul piano politico, sociale ed economico. Altamura passerà alla storia come la “Leonessa di Puglia”. Ricordarlo è un doveroso omaggio ai “Martiri” che persero la vita animati da grandi passioni civili e da una concezione della politica volta al perseguimento del Bene comune. Risuonano ancora illuminanti le ultime parole che pronunciò l’eroina della rivoluzione partenopea Eleonora Fonseca Pimentel prima di salire sul patibolo di piazza Mercato a Napoli: “Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”.