Inchiesta sul ruolo della ’ndrangheta
di Roberto Galullo
Le cosche hanno mantenuto volontariamente alta la tensione durante gli scontri di Rosarno.
Feriti (50) e schioppettate per, le campagne di Rosarno. Accerchiamenti e sprangate, disperati in fuga. E la questura che vuole smantellare le tante baraccopoli in giro per la città. Il terzo giorno di scontri nella città della Piana reggina di Gioia, dopo la violenze scatenate dai lavoratori stagionali attaccati in precedenza, è filato via tra bus organizzati dal Viminale che hanno allontanato verso centri di accoglienza altri extracomunitari (in tutto un migliaio) dai luoghi in cui erano tornati a rifugiarsi e, soprattutto, l’abile regia delle cosche che ha mantenuto volontariamente alta la tensione in tutta l’area. Cinque i fermi convalidati. Spunta (sul web) pure l’ipotesi di uno sciopero per marzo.
In prima fila, a scandire i ritmi della protesta, a partire da quella all’ex oleificio occupato dagli extracomunitari e protetto da un cordone di polizia, la famiglia Bellocco. Antonio, rampollo emergente della famiglia mafiosa, il giorno prima è stato arrestato durante gli scontri insieme ad altri due pregiudicati, uno dei quali era stato condannato in primo grado per l’omicidio della fidanzata. Ieri le consegne delle famiglie mafiose sono passate all’esercito di disperati sui quali può contare la ’ndrangheta e che hanno seguito le disposizioni: reagire con violenza allo smacco subito dai "negri". Riportare nelle mani delle cosche il bastone del comando. Mischiate tra il centinaio di persone radunate davanti all’oleificio da Domenico Ventre, ex assessore alla Protezione civile della Giunta sciolta per mafia, c’erano parecchi volti, in gran parte giovani, conosciuti dalle forze dell’ordine. Mentre loro, inveendo contro Stato, regione, immigrati e santificando la pulizia della precedente Giunta, attendevano al varco i bus, a Roma lo Stato prendeva decisioni.
Alla task force governativa per gli interventi finalizzati all’organizzazione di centri di aggregazione sociale, per la bonifica di zone disagiate e per l’investimento in opportunità di sviluppo, l’esecutivo ha messo a disposizione 1,9 milioni attinti dalle risorse sequestrate alla ’ndrangheta e immediatamente utilizzabili. Lo ha annunciato Tonino Malerba, delegato regionale della Croce rossa, che si trova nell’unità di crisi allestita dalla Prefettura. Risorse che serviranno anche per ricondurre a condizioni umane la vita dei lavoratori che resteranno sul territorio. Ed è quanto ha affermato anche il Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone. «La giustizia - ha affermato - deve guardare innanzitutto ai poveri e agli oppressi ed essere amministrata con umiltà, nella consapevolezza che giustizia e pace non sono raggiungibili senza Dio e senza grazia».
Dio e grazia cui le cosche hanno sempre contrapposto una cultura di morte e omertà. Ne è convinto Giuseppe Creazzo, capo della Procura della Repubblica di Palmi. «Quando il fenomeno assume certe dimensioni - dichiara al Sole-24 Ore - c’è sempre di mezzo la ’ndrangheta. Qui c’è una società che produce nel proprio seno la cultura ’ndranghetista. Le persone che abbiamo arrestato ieri, una delle quali si è spinto a tutta velocità con una ruspa contro le persone che aveva trovato di fronte, sono tutte riconducibili direttamente o indirettamente alla cosca Bellocco».
Stefano Musolino, sostituto procuratore della Repubblica, ricorda un episodio dello scorso anno quando fu invece arrestato un componente di infimo livello vicino all’altra cosca, Pesce. «Questa persona - afferma - imponeva il taglieggiamento a molti extracomunitari. Parliamo di mance, due o tre euro al giorno». Uno dei tanti cani sciolti che le cosche lasciano vagabondare per riaffermare che la giustizia, da queste parti, è (spesso) solo quella della ’ndrangheta.
Il Sole 24 Ore, 10 gennaio 2010