A settant'anni dalla Liberazione dell'Italia dal nazifascismo
La Resistenza nel Mezzogiorno
di Giuseppe Dambrosio
Il contributo del Mezzogiorno alla guerra di Liberazione non fu limitato alle rivolte popolari. Migliaia furono i meridionali che militarono nelle formazioni partigiane sulle Alpi e sugli Appennini. Purtroppo non esistono stime precise al riguardo, ma nell'immediato dopoguerra lo storico piemontese Augusto Monti arrivò ad affermare che "le formazioni partigiane che, militarmente organizzate, agirono contro i tedeschi e i loro alleati, sui monti che fan ghirlanda alla pianura del Po (…) furono almeno per un quaranta per cento costituite di 'uomini del Mezzogiorno'".
Una storia definitiva della Resistenza nel Mezzogiorno non è mai scritta. Di tutto quello che avvenne nel 1943 sotto la linea di Montecassino, si ricordano soltanto le quattro eroiche giornate di Napoli della fine di settembre. Ma come si caratterizzò la Resistenza nel Sud?
R. Battaglia nel suo celebre saggio "Storia della Resistenza in Italia" parla di un risorgere del movimento agricolo che si espresse in molti episodi di lotta contro i tedeschi e fascisti definendoli "l'ignorata" rivolta del Mezzogiorno, la quale originò "... la tragica alba della guerra di liberazione" esprimendo "la collera del mezzogiorno contro l'invasore tedesco, un improvviso brusco risveglio da un clima durissimo di combattimento e sacrificio". La lotta contro i tedeschi, e poi contro i gerarchi fascisti, si coniugò con le aspirazioni di cambiamento dell'assetto della proprietà e di una redifinizione del rapporto con lo stato, espressione degli interessi del potere agrario.
Nel '43 il contesto sociale ed economico del Mezzogiorno era profondamente mutato rispetto agli anni del grande consenso al regime. La fame, il freddo, i bombardamenti e le ristrettezze economiche, avevano distrutto la credibilità del fascismo. I meridionali erano stanchi della guerra e desideravano ardentemente la pace. E così il 25 luglio, giorno dell'arresto di Mussolini, espressero in modo deciso il distacco dalla dittatura, con numerose manifestazioni di giubilo. I primi episodi di "Resistenza" si erano registrati nel '42, nelle campagne della Calabria, del Cilento, della Lucania e del foggiano. Si trattò di movimenti che assunsero maggiore consistenza dopo lo sbarco alleato in Sicilia (10 luglio 1943), e che ebbero un prevalente carattere di lotta sociale, anche se non mancarono i contadini che attaccarono i tedeschi in ritirata, recuperando le armi lasciate sul campo dall’esercito italiano.
"Le rivolte contadine - ha osservato la Chianese (attenta studiosa del fenomeno) - furono un tassello importante della crisi non soltanto del regime fascista ma anche del blocco agrario latifondista fino ad allora egemone". E seppure di breve durata e spesso isolate, furono la premessa di una trasformazione irreversibile della società economica agricola meridionale, collegandosi al ciclo di lotte che nel dopoguerra contribuì all'approvazione della legge stralcio di riforma agraria, attuata dai governi centristi negli anni Cinquanta.
Con la caduta del fascismo, la rivolta interessò anche i centri urbani. La lotta contro i tedeschi esplose ancor prima dell'armistizio, il 2 agosto del '43, in Sicilia, a Mascalucia, un comune a dieci chilometri di Catania. Ad accendere la miccia fu l'ennesimo tentativo di furto di cavalli e di razzia compiuto da due soldati della Wehrmacht, che provocò prima uno scontro con i soldati italiani, poi un'autentica rivolta popolare armata contro i nazisti, alla quale presero parte decine e decine di cittadini e di militari, con perdite da entrambe le parti. Per spegnere il fuoco della ribellione, fu necessaria la mediazione del comando dei carabinieri.
Nei giorni successivi all'8 settembre del '43, data dell'annuncio dell'armistizio con gli Alleati, in numerose città e in vari presidi militari si registrarono atti di resistenza ai tedeschi, spesso frutto dell'inedita collaborazione tra soldati, carabinieri e popolazione civile. Le cronache parlano di combattimenti, a Ischia, a Napoli, a Benevento, a Nola, dove per rappresaglia i tedeschi fucilarono dieci ufficiali italiani. In Puglia le manifestazioni furono portate avanti dai contadini e furono significative. A Taurisano il 5 gennaio protestarono contro il podestà fascista, ci furono scontri nei quali perse la vita un contadino. A Bari il 28 luglio i carabinieri spararono su un corteo di circa duecento persone che stavano raggiungendo i detenuti politici appena liberati nei pressi della sede della Federazione fascista provocando un vero eccidio. Si contano venti morti e trentotto feriti. A Barletta, tra il 10 e il 12 settembre, si scatenò una battaglia cruenta per la difesa della città: i soldati del Presidio militare, guidati dal colonnello Grasso, resistettero per due giorni agli attacchi, con l'aiuto di molti civili. Nel salernitano, a Cava de' Tirreni, la popolazione collaborò attivamente con gli Alleati.
I casi di eccidi di civili o di militari da parte dei tedeschi furono assai numerosi, in ogni parte del Sud. Il primo eccidio si verificò il 12 agosto del '43, a Castiglione di Sicilia, dove i nazisti in ritirata massacrarono sedici persone e ne ferirono venti. A differenza che per le stragi tedesche nel centro-nord, che nel dopoguerra sono state oggetto di indagini giudiziarie e di commemorazioni ufficiali, nel Mezzogiorno invece vi è stato un generale processo di rimozione della memoria di questi episodi criminali. E' quello che è accaduto per il massacro di Caiazzo, sulle cui responsabilità è stata fatta luce solo di recente, grazie alle ricerche di Giuseppe Capobianco sulla Resistenza nel casertano, un territorio martoriato dove, in quell'autunno tragico (settembre-dicembre '43) le vittime civili raggiunsero le 2023 unità, pari al 5,5 per cento di quelle di tutt'Italia nello stesso periodo.
Lo storico tedesco Gerhard Schreiber, nel suo ultimo lavoro, riconduce gli eccidi nazisti nel Sud al rancore accumulato contro gli italiani dopo il "tradimento" del 25 luglio, sottolineando le gravi responsabilità non solo delle SS ma anche degli ufficiali dell’esercito regolare tedesco, che agirono per "spirito di vendetta". Ma la colpa non fu solo dei tedeschi. Uno studio sulla Resistenza nel Sud, curato da Aldo De Jaco documenta che anche alcuni ufficiali e carabinieri italiani favorirono la politica delle stragi oppure non vi si opposero in alcun modo.
In questo quadro l'opposizione al nemico da parte dei meridionali - come ha scritto Gloria Chianese - nacque "in primo luogo come reazione al terrore tedesco", e fu "strettamente connessa agli eccidi" e all'atteggiamento tracotante dell'esercito occupante.
Fu questo il caso anche delle quattro giornate di Napoli, che iniziarono il 27-28 settembre come reazione ai rastrellamenti operati dalle SS (con l'internamento di 18.000 uomini) e all'ordine di sgomberare tutta l'area occidentale cittadina. Ma la rivolta partenopea, che costò la vita a 562 napoletani, non deve essere considerata un fatto isolato. Essa fu preceduta e seguita da un insieme di veri e propri momenti insurrezionali aventi carattere popolare: impugnarono le armi contro i tedeschi gli abitanti di Matera (21 settembre), di Teramo (25-28 settembre), di Ascoli Satriano (26 settembre), di Nola (26-29 settembre), di Scafati (28 settembre), di Serra Capriola (1° ottobre), di Acerra (1° ottobre), di Santa Maria Capua Vetere (5-6 ottobre), di Lanciano (5 ottobre). A Maschito, un piccolo paese in provincia di Potenza, l'11 settembre la popolazione si ribellò contro i gerarchi fascisti e fu proclamata addirittura una "repubblica" che durò circa un mese. A Irsina, verso la fine del settembre del 1943, la popolazione insorse e lapidò il podestà accusato di collaborazionismo e di accaparramento. A Spinazzola "Murgetta Rossa", 22 soldati furono fucilati e abbandonati sul terreno e nel novembre 1943 vi fu una manifestazione pubblica contro la designazione di un certo Martinelli a commissario prefettizio ex fascista, ammassatore di grano. A Minervino Murge nel settembre del '43, durante la ritirata, i tedeschi guidati da Hintermann catturarono e fucilarono 21 soldati italiani che facevano ritorno a casa nella zona Canalone, tra Minervino e Spinazzola, e fu evitata una rappresaglia per la strenua difesa dei cittadini che si preparavano per la resistenza.
Certo la resistenza meridionale non fu un fenomeno di massa. Dopo l'8 settembre in gran parte del Mezzogiorno mancò il tempo di organizzare una resistenza armata ai nazisti, con l'eccezione degli Abruzzi, dove sono note le imprese e il seguito popolare della banda partigiana della "Conca di Sulmona", che poi confluì nella "Brigata Maiella". I partiti avevano ripreso da poche settimane l'attività politica, dopo vent'anni di clandestinità. E l'occupazione tedesca, anche se feroce, ebbe breve durata. La mobilitazione popolare fu un fatto episodico. E non poteva essere altrimenti. Le bande partigiane che si formarono sulle montagne del centro-nord ebbero bisogno di mesi per organizzarsi, e se a un certo punto poterono reclutare tanti giovani, fu anche grazie ai bandi di leva della RSI e ai rastrellamenti di manodopera da parte dei tedeschi.
In ogni caso il contributo del Mezzogiorno alla guerra di Liberazione non fu limitato alle rivolte popolari. Migliaia furono i meridionali che militarono nelle formazioni partigiane sulle Alpi e sugli Appennini. Purtroppo non esistono stime precise al riguardo, ma nell'immediato dopoguerra lo storico piemontese Augusto Monti arrivò ad affermare che "le formazioni partigiane che, militarmente organizzate, agirono contro i tedeschi e i loro alleati, sui monti che fan ghirlanda alla pianura del Po (…) furono almeno per un quaranta per cento costituite di 'uomini del Mezzogiorno'".
Più realisticamente, raffrontando alcuni dati parziali (ad esempio quelli sul partigianato nelle province di Cuneo e Torino), si può sostenere che in media il 15-20 per cento delle formazioni partigiane erano costituite da militari del Sud dello sbandato e liquefatto regio esercito italiano.
Per i soldati meridionali, che si trovavano lontani da casa, l'8 settembre fu veramente una data spartiacque, che impose una scelta netta e drammatica: o darsi alla macchia, salire sulle montagne e unirsi ai partigiani, con molti sacrifici, senza stipendio e sotto il rischio della fucilazione; oppure aderire all'esercito repubblicano, che assicurava vitto, alloggio e soldi. La maggior parte di loro scelse il campo giusto.
Numerosi furono anche i meridionali che si arruolarono nel CIL, il Corpo Italiano di Liberazione, che combatté a fianco degli Alleati, e talvolta li precedette addirittura nella liberazione di alcune zone della pianura padana. E non è da dimenticare il prezioso contributo alla causa della libertà da parte degli IMI: migliaia di soldati e di ufficiali del Sud furono internati e in molti casi morirono nei campi di concentramento tedeschi in Germania o in Polonia perché restarono fedeli al giuramento al re e rifiutarono di aderire all'esercito della Re pubblica Sociale.
La stessa vicenda del "Regno del Sud", dove l'intero apparato dello stato - prefetti, questori, commissari prefettizi - operava all'insegna della continuità badogliana, frenò il cambiamento della società meridionale. La classe dirigente dei partiti non ebbe né il tempo né la possibilità di "farsi stato". Un risultato invece che al Nord le bande partigiane e i Cln riuscirono a conseguire, avendo una parte importante nei processi di epurazione o nella designazione dei prefetti e dei sindaci.
In conclusione è importante superare l'immagine di un Mezzogiorno conservatore e filofascista. Il lavoro di recupero della memoria degli episodi di resistenza meridionale compiuto negli ultimi anni colloca il Sud nel contesto nazionale e fa della guerra di Liberazione un valore "italiano" nel senso pieno del termine.
Il periodo dal 1943 al 1945 ad Altamura
Dopo il 25 luglio 1943 ad Altamura non succede nulla o quasi nulla. Infatti non si registrano episodi di insorgenza ai tedeschi. Qualcuno parla di occupazione del circolo littorio, ma il fatto non è suffragato da alcuna testimonianza probante. C'era soltanto l'aspirazione a voler voltar pagina e a farla finita con il regime fascista e come riferisce Caggiano (fondatore del partito comunista altamurano) "Adesso non saluteremo più con l braccio alzato ma con il pugno chiuso". Se all'inizio del secolo c'erano state esperienze significative (l'istituzione di circol libertari, la costituzione del partito socialista, la fondazione della Camera del lavoro nonchè la nascita di cooperative di lavoro sotto il sindacato di Tommaso Fiore), durante il perido fascista tutto tace ad eccezione di qualche insubordinazione individuale. Il fascismo aveva distrutto le organizzazioni contadine e aveva zittito la voce dei reduci e degli ex combattenti.
Nella città non ci fu alcuna resistenza antifascista. Lo stesso Sante Cannito, in un capitoletto del libro "Frammenti di storia altamurana", fa cenno al ritorno di Tommaso Fiore ad Altamura, il quale dà vita al primo CLN prima dell'arrivo delle truppe americane in un locale di piazza Repubblica. Inoltre lo stesso fa cenno a cittadini che fermarono il tentativo dei tedeschi di far saltare l'acquedotto pugliese e all'arrivo degli americani e di partigiani accampati nei pressi di Casale.
Ad Altamura pesa anche il ruolo della chiesa cattolica che con lo slogan "I comunisti sono demoni" ostacola il coagulo delle forze di sinistra. Come afferma Marcantonio Colonna (prosindaco dal 1947 al 1948 e in seguito consigliere comunale nel PSI) le sollevazioni si riducono "a qualche gruppetto di discussione, di dissidenza larvata priva di collegamento con i lavoratori". Nell'estate del '43 il potere, nelle sue diverse ramificazioni è ancora nelle mani degli stessi di sempre, naturalmente riciclatisi. A livello istituzionale, con la caduta del regime fascista, non ci fu alcuna svolta e questo è testimoniato dai pochi accenni presenti nelle delibere della Giunta Municipale: "Cancellazione delle scritte fasciste sulle facciate esterne dell'abitato dal 2 al 7 agosto" (Delibera del 14 agosto 1943) e ancora "Gli uffici non funzionarono per la maggior parte del mese di settembre a causa dell'occupazione di essi da parte delle truppe tedesche e inglesi (Delibera del 20 novembre1943) e l'ennesima nomina del Commissario Prefettizio, commentata da Ippolito Pinto (sindaco della città) così: "il primato di una serie allegra di Commissari regi e prefettizi manovrati da chi disponeva delle più alte aderenze o sostituti nel giro di poche cose [sic] quando non fossero stati supini ai desideri dei signorotti locali (Delibera Consiglio Comunale n.24 del 17 maggio 1947).
Alcune informazioni della situazione di Altamura dopo l'8 settembre 1943, le possiamo desumere da altre delibere: "dall'11 al 30 settembre del 1943, durante l'occupazione tedesca 11 militari (sono) mitragliati nelle pubbliche vie; [...]i prezzi delle derrate alimentari e dei prodotti armentizi hanno raggiunto di botto ed in spregio a qualsiasi legge limitativa, misure fantastiche contro le quali è impossibile opporre praticamente anche con l'oblata e severa repressione del contrabbando (Delibera di G.M. n.83 del aprile 1944).
Le condizioni di vita grame spingono i contadini e i braccianti ad organizzarsi e si respira aria di tensione contro il potere agrario. Si ricostruisce il sindacato. La Camera del Lavoro, sotto la spinta di Vincenzo Pisculli, Lorenzo Lorusso, Giacomobello e Nicola Iurino riprende l'azione politica, questo all'inizio del 1944. Nello stesso periodo nascono altre formazioni politiche: si costituisce "l'Uomo Qualunque" in cui confluiscono i grossi e medi proprietari terrieri e lo schieramento moderato, formato dalla Democrazia Cristiana, Movimento Liberale e Democrazia Liberale, riprende vigore. Nell'aprile del 1944 il democratico cristiano Giacinto Genco presiede la Giunta municipale con i seguenti assessori: avv. Lorenzo Chierico e dott. Nicola Falagario (Democrazia Liberale), prof. Ippolito Pinto e Cipriano Loiudice (Partito d'Azione), Giuseppe Perrucci (Democrazia Cristiana) e Antonio Sforza (Partito Comunista Italiano); sono nominati asessori supplenti: prof.Orazio Giannelli (Democrazia Liberale) Luigi Bolognese (Partito d'Azione). Tale Giunta resta in carica dal 22 luglio 1944 al 23 luglio 1945.
Diversi furono gli altamurani impegnati in prima linea nella lotta contro il fascismo e il nazismo, in questa occasione ricordiamo :
Paolo Casanova, fornaio, classe 1923, partigiano della brigata "Verona", catturato dalle SS il 12 settembre 1944, processato l'11 gennaio del 1945 dal tribunale militare tedesco di Verona, condannato "per appartenenza a banda armata partigiana e forniture alla stessa di munizioni" e fucilato all'alba del 9 febbraio 1945.
Michele Cornacchia, partigiano, nome di battaglia "Nino", impegnato nel Comitato di Liberazione del Piemonte, che, all'indomani dell'8 settembre 1943, prestò la sua preziosa opera nel cuneese come tenente della 12° brigata Bra, divisione Amendola nei centri di Bra, Cherasco e Bene Vagienna.
Sante Cannito, anarchico, tenuto sotto controllo dalla polizia e svariate volte incarcerato specialmente quando venivano personaggi di rilievo del regime.
La figura di un celebre antifascista altamurano: Tommaso Fiore
Tommaso Fiore ebbe un ruolo importante nella lotta contro il fascismo nell'Italia meridionale. Studioso attivamente impegnato nela vita politica e sociale, rappresentò le ansie e le aspettative dei contadini e dei combattenti. Nel 1920 si battè contro Pasquale Caso e divenne sindaco, capeggiando una giunta che durò dal 1920 al 1922 e attuò misure chsi ispiravano ai dettami del socialismo. Nel 1924 entrò nel partito socialista.
Il 4 novembre dello stesso anno il sottoprefetto di Altamura avvisa il Prefetto di Bari che il professore Fiore, presidente della sezione ex combattenti, svolgeva sospetta attività politica oltre che ad Altamura nelle vicine città di Gravina e Santeramo in Colle. La casa fu perquisita e furono ritrovate riviste sovversive quali "La Libertà"- di ispirazione socialista – e appunti su alcuni incidenti avvenuti a Gravina. Il Ministero degli Interni, dietro pressione della Prefettura di Bari, fu sollecitato ad avviare una indagine su Fiore per la sua azione sovversiva ad Altamura non rispondente alla sua missione educativa. Il 16 gennaio 1925 fu sollecitato l'allontanamento di Fiore ritenuto comunista.
Il 25 marzo 1925 il Ministero della Pubblica Istruzione asseriva che, dopo dettagliata indagine, non risultavano fatti tali da procedere ad un trasferimento d'ufficio di Fiore, il quale si traferì nell'ottobre 1928 a Bari come insegnante di scuole medie. Negli anni successivi l'azione di Fiore non destò alcun interesse, essendo considerato più un idealista che un uomo d'azione. In seguito fu insegnante di latino di Molfetta e amico di Gaetano Salvemini e si adoperò a diffondere il pensiero liberale e le sue convinzioni di antifascista nelle province di Bari, Foggia, Brindisi e Lecce. Dalle indagini dell'OVRA, Fiore risultò implicato nelle indagini sia a Firenze che a Bari dove era presente un folto gruppo di antifascisti coi quali era solito incontrarsi nella villa comunale, nella sua abitazione e all'interno dei locali della libreria Laterza. Tali incontri avvenivano anche quando Benedetto Croce si recava alla villa di Giovanni Laterza, noto antifascista. Fiore era l'ispiratore dell'azione dei suoi figli Ezio (sottotenente medico nel fronte greco-albanese, allora in convalescenza) e Vittore (studente di giurisprudenza) che svolgevano attività nel mondo studentesco. L'OVRA si procurò alcuni suoi manoscritti: Decalogo del Partito Liberal-socialista, Note sul concetto di stato, Il liberalismo storico e l'era presente, Il Fronte della Libertà, Lo stato secondo Libertà, Il Liberalismo storico, Lettera aperta del cittadino Settembrini; Il Testamento di Lauro De Bosis.
Nei manoscritti venivano affrontate questioni di contenuto programmatico che ispiravano il movimento: la concezione decisamente antimonarchica, la sostanziale convergenza tra etica e politica del liberalismo e socialismo, l'aspra critica alle concezioni autoritarie e totalitarie e la necessità di un fronte unico di libertà, al di là delle differenze di orientamento, capace di abbattere il regime fascista e di rendere l'Italia un paese libero. Il movimento si stava diffondendo in Italia specialmente negli ambienti intellettuali. In Puglia faceva capo a Fiore.
Fu tratto in arresto il 7 aprile del 1942 accusato di aver svolto attività disfattista contro il regime e fu inviato al confino a Ventotene, Quadri, Orsogna e liberato il 20 settembre dello stesso anno in occasione del ventennale del fascismo, rientrando nei provvedimenti di clemenza del regime.
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