Bari 28 luglio 1943 - Un giorno di sangue e di lutti

di Antonio Rossano

Veniva data per imminente la liberazione di numerosi detenuti politici – Come reagì Bari al 25 luglio: nella notte la quieta passeggiata di due uomini – Gli incontri di Benedetto Croce  a villa Laterza, i collegamenti con le altre città italiane

villa laterza 

Villa Laterza, (da sanistra: Fabrizio Canfora, Anna Macchiori, Benedetto Croce, Giovanni Laterza, una figlia di Laterza., Tommaso Fiore)

Il telefono squillò due, tre volte: insistente, il suono era ingigantito dal silenzio della notte. Era la notte fra il 25 ed il 25 luglio 1943, a Barl. Fabrizio Canfora si alzò preoccupato: già era inconsueto ricevere telefonate, figurarsi a quell'ora, l'una. Chissà cos'era accaduto. La voce di Natale Lojacono era, invece, festante:  e «Hai sentito, Fabrizio, hai sentito? Mussolini è stato destituito, è la fine del fascismo. Che notizia! Certo, è sicura. Amici miei di Roma... Ci vediamo per strada, dobbiamo parlare, dobbiamo vederci».

S'incontrarono, si strinsero con particolare calore in un abbraccio commosso, poi parlarono a lungo, passeggiando soli per strade deserte. Due uomini di età, condizioni ed estrazioni diverse salutarono cosi, con una lunga passeggiata notturna, la fine del fascismo.

Bari era silenziosa e deserta. Non ci furono le manifestazioni di giubilo verificatesi, spontanee, in altre città, non ci furono reazioni vistose, cortei improvvisati. Taluni antifascisti erano in prigione, altri fuori città. l'unica, immediata reazione fu questa quieta passeggiata notturna. Il silenzio continuò anche il 26 e 27 luglio, A parte il tentativo di qualche coraggioso che chiese, con decisione, la rimozione delle immagini di Mussolini dalle aule d'udienza del Tribunale e da altri uffici pubblici. Ci fu un gran parlare nelle case, all'Università, ma fra, amici, fra gente fidata.

«Bari - ricorda il liberale Pasquale Calvario - non aveva che un nucleo sparuto di antifascisti, e la popolazione avvertiva nella notizia piuttosto elementi di preoccupazione che non quello sbocco positivo alla crisi psicologica  creata  dalla guerra. In fin dei conti, la notizia di rivolta contro il “duce”, chè tale fu la caduta del fascismo, non determinò nella maggioranza dei baresi quel senso di liberazione che altre città avvertirono. La guerra incombeva ancora su tutto, era quello l'evento cardine›. «La città, anzi - afferma ancora Calvario perdette in vivacità. Non ebbe il fremito di risveglio, quanto piuttosto la trepidazione dell'ignoto. L'antifascismo al quale, ciascuno con la sua matrice culturale, ci eravamo educati noi, era stato appunto un parlare fra noi, ma senza alcun rapporto con la popolazione. Non c'era tessuto connettivo: nè, d'altra parte, in dittatura aveva consentito che si formasse». I giovani erano venuti su alla scuola di alcuni docenti integri e, a Bari, facevano capo a Tommaso Fiore . E c’erano incontri con Benedetto Croce, don Benedetto, abituale ospite di villa Laterza (ora travolta dalla espansione edilizia: che peccato!).

Era una scuola. «socratica», come l'ha definita Guido Calogero. Si parlava di libertà e democrazia, di storia, arte, filosofia. Ma don Benedetto accettava anche le confidenze spicciole dei ragazzini coi calzoni corti alle prese con i primi malanni d'amore. «Embè, piccirillo – rispondeva invariabilmente - che ci vuoi fare? E' la vita» .

Era, va detto, una scuola d'élite, la  scuola che avrebbe formato i quadri dirigenti di oggi, incidendo su una realtà socio - economica marcatamente più arretrata. Non si può negare che Bari fosse, in quegli anni, centro di cultura etica e politica, di uomini onesti e forti vi tenessero scuola di disciplina intellettuale e morale, in contatto con le più importanti centrali culturali italiane: Napoli, Torino, Firenze, Milano. Ma sarebbe a dir poco inesatto dire che si trattò di un movimento esteso, diffuso, penetrante.

Quei giovani furono educati alla storia, all'intelligenza della realtà del paese, alla penetrazione dei problemi, all'analisi dei fenomeni, non alla violenza, all'odio. Anche per questo, fu stupefacente – e rintronò sinistro e cupo come non mai - iI crepitìo d'armi che, nella tarda mattinata del 28 luglio '43 stroncò venti vite umane, producendo lutti che ancor'oggi vengono pianti senza rassegnazione. Come si arrivo a quel tragico, fatale attimo? Chi furono i protagonisti di quella giornata? Cosa determinò la strage? Perchè?

Sono domande alle quali, subito dopo l'esplosione rabbiosa delle raffiche di fucileria, e per gli anni successivi, qualcuno ha dato risposte parziali, altri superficiali, ciniche, annoiate (certo, anche annoiate: «Dopo tanto tempo, che vale tornare su questi episodi? E’ successo perché erano i tempi, Doveva andare cosi, era nell'aria»).

Questa rievocazione vuol essere un obbiettivo, modesto tentativo di ricordare per chi non ha vissuto, di completare laddove c'erano lacune, di arricchire il materiale a disposizione di chi vuole penetrare nella realtà di ieri. E' un tentativo, che non si nasconde deficienze, manchevolezze, difficoltà obbiettive: c'è chi non vuole parlare, chi non ricorda più, chi ricorda troppo (facendo insinuare il sospetto che, forse, non c'era).

Come abbiamo scritto, il 26 ed il 27 ci furono isolati episodi di decisione e di coraggio. Presso la presidenza della Corte d'Appello, la mattina del 26, si recarono due commissioni. Una di avvocati, fra cui Giuseppe Papalia, Giuseppe De Filippis e Osvaldo Marzano; l'altra di professori, fra quali Raffaele Perna, Fabrizio Canfora, Carlo Colella. Chiedevano, in particolare, immediata scarcerazione di amici e colleghi detenuti nelle carceri giudiziarie di via 28 Ottobre (l'attuale corso Sicilia). Lavv. Antonio Colonna pronunciò parole commosse nel corso di un'udienza al Tribunale Militare (ma fu subito invitato a restare nel tema processuale).

La  mattina del 27, nello studio dell'ing. Giuseppe Laterza ebbe luogo una riunione alla quale parteciparono fra gli altri Giuseppe Papalia, Giuseppe De Filipis, Fabrizio Canfora, Natale Lojacono, Carlo Colella, Osvaldo Marzano, Domenico Loizzi.

Si decise di insistere anche presso il Prefetto perchè fossero scarcerati gli antifascisti rinchiusi in prigione. Si discusse anche dell'opportunità di proporre un immediato cambio della guardia in quegli enti ed uffici pubblici che erano ancora guidati da uomini apertamente compromessi con il regime fascista.

Il Prefetto assicurò che stava aspettando disposizioni da Roma. Da Roma, intanto nella serata del 27, giunse per misteriosi canali la notizia che la scarcerazione era gia stata disposta per l'indomani. La Gazzetta del Mezzogiorno, la pubblicò - la mattina del 28 luglio - in prima pagina. «Prigionieri politici liberati. Roma, 27 luglio. Siamo informati che è stata già disposta la scarcerazione di un gruppo di arrestati politici. Tra essi ci sono: il prof. Guido De Ruggiero, il prof. Calogero, il prof. Fiore, il prot. Rizzo, il dott. Stangoni, l'avv. Fenoaltea, l'avv. Comandini e molti valorosi e intelligenti giovani studenti».

Luigi De Secly, allora redattore capo e che sarebbe poi stato direttore responsabile della nuova Gazzetta por molti anni, fino a tutto il 1960, firmò un articolo che usci di spalla su due colonne, dal titolo «Viva la libertà. Si, viva la libertà, che ci ha dato la vita: la libertà che ci ha fatto crescere e diventare Popolo, Nazione, Stato; la liberta senza della quale l'arte stessa sarebbe miserabile lenocinio: la libertà che è il perno del nostro pensiero, della nostra opera, di ogni civile progresso. Questa libertà è stata per 20 anni conculcata, manomessa, annientata. Oggi il Re e un Uomo, che è anche un soldato, l'hanno ridonata all'Italia, e l'Italia è come colui che apre gli occhi alla luce, guarda attorno dinanzi a sè, ma tuttavia già saldamente sicuro di sè, è pronto a battersi, perchè questa libertà sia garantita, perchè sia rispettata, e dia i suoi frutti.

Quella notizia tanto attesa (Escono, «escono oggi!»), questo inno alla libero fecero da involontaria miccia all'entusiasmo di u gruppo di giovani : sarebbe stata l’ultima alba della loro breve vita.

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 28 luglio 1971